VULGATA NOVA VULGATA CEI1974 CEI2008
37,1:Per commemorazione. Per rammemorare, ed esporre a Dio la propria miseria.
Pel giorno di sabato. Furono aggiunte queste parole, perché l'uso della sinagoga dovette essere di cantarlo in tal giorno.
Signore, non mi riprendere nel tuo furore, ec. Non mi trattare con tutto il rigore, che meriterebbero i miei peccati: fa' meco le parti di medico, e non quelle di giudice. Vedi Psal. VI. I.
37,2:Perocchè io porto fitte nella mia persona ec. Chiama frecce e strali di Dio la sua malattia e le miserie e afflizioni, che Dio gli mandava. S. Agostino a tutto questo aggiunge la parola di Dio, che penetra qual freccia fino al cuore del peccatore, e lo trafigge per convertirlo.
37,3:A cagione dell'ira tua non ha sanità la mia carne; ec. Per effetto del giusto tuo sdegno la mia carne è travagliata dalle infermità, e per ragion delle mie colpe le ossa mie, le mie membra non hanno riposo. Dimostra com' egli è grandemente malato e trlbolato tanto nel corpo, come nello spirito.
37,4:Imperocchè le mie iniquità sormontano ec. Il cumulo, la massa delle mie colpe è tanto grande, che quasi acqua profonda sormontando il mio capo stanno per affogarmi; ed elle sono tanto gravi e di peso si enorme, che tutte le forze sorpassa.
37,5:Si sono imputridite..., a cagione di mia stoltezza. La lunghezza della malattia rende più difficile la guarigione e più penosa. Davidde avea tenuti nascosti quanto potè i suoi falli per lungo tempo, ed era vissuto ne' suoi peccati un anno in circa senza pensare ne a Dio, ne a se stessa. Di questa stoltezza grande, per cui le sue piaghe erano divenute putride e corrotte, di questa egli si accusa e si pente. Ma notisi attentamente come Davidde il quale con questo salmo a Dio ricorre per ottenere. Il suo aiuto nella malattia, ond'era afflitto, e per impetrare la sanità del corpo, tutto il fervore del suo spirito impiega nel parlare de' suoi peccati e della loro moltitudine e della loro gravezza, delle piaghe mortali fatte conessi all'anima propria, e della stoltezza in nascondere queste piaghe. Un vero penitente sentirà più il male della colpa, che qualunque calamità, onde per ragione di essa sia stato afflitto.
37,6:Sono formisura incurvato: ec. Sono incurvato e depresso oltre ogni credere sotto il peso delle miserie, e una profonda tristezza occupa continuamente il mio spirito.
37,7:Perché pieni sono di illusioni i miei reni. Generalmente i Padri e gl'Interpreti intendono significati con queste parole i violenti movimenti della concupiscenza, i quali Davidde considerava come una dolorosa pena del suo peccato; ed è degna della umiltà di Davidde la confessione di un tal male, nella qual confessione fu egli imitato dal grande Apostolo, II. Cor. XII. 7.
37,8:Sfogava in ruggiti i gemiti ec. L'interno dolore del cuore mi sforzava a prorompere in ruggiti piuttosto, che in gemiti ed in querele.
37,10:Il mio cuore e turbato, ec. Il mio cuore è agitato dalle prave affezioni, che in me sorgono contro mia voglia: la virtù, la forza dell'anima mia è grandemente diminuita dopo le mie prevaricazioni; e quella cognizione viva e penetrante, che io avea delle cose dello spirito, non è più meco. Questo senso veramente allegorico è da preferirsi, per quanto a me sembra, al puro letterale, secondo il quale tutte queste cose s'intenderebbono delle palpitazioni di cuore, delle mancanze e svenimenti, e della perdita del lume degli occhi per cagione delle continue sue lacrime.
37,11-12:Si stettero a me dirimpetto. Non si accostarono a me per vedermi e consolarmi, ma quasi avendo orrore di me i miei amici e i parenti e i vicini si tenevano dirimpetto a me alla lontana, temendo la contagione de' miei mali. Ma quelli, che cercavano la mia vita, ec. Come se dicesse, erano senza paragone più attivi i nemici per nuocermi, che gli amici e i parenti per aiutarmi. Ma queste parole e tutti questi due versetti, anzi tutto quasi il rimanente del salmo, ancor meglio che a Davidde si applica dai Padri a Gesù Cristo, come dal confronto della storia Evangelica ognun può conoscere. Egli abbandonato nella sua passione da' suoi più cari nel tempo, che i suoi nemici cercavano tutti i mezzi di farlo morire; egli accusato da' Giudei e interrogato da Pilato non aperse la bocca per far sue difese; egli portando sopra di se i nostri peccati fu pronto a soffrire i flageili e le spine e i chiodi e la croce; egli finalmente odiato e messa a morte da quelli, che a lui rendevan male per bene, e odiato perché amò la giustizia, e insegnò ad amarla.
37,13:Ma io quasi sordo ec. Così si contenne Davidde ingiuriato e insultato da Semei. Vedi 2. Reg. XVI. 10. 11. 12.
37,16:Io dissi: non trionfino ec. Mi determinai di soffrire in silenzio: perocchè se io volessi rispondere e rendere maledizione per maledizione potrebbe Dio abbandonarmi, ed avrebber di ciò gran contento costoro, i quali, ogni volta che mi veggono in pericolo, parlano superbamente contro di me.
37,17:Son preparato a' flagelli, e sta sempre dinanzi a me il mio dolore. Il mio peccato, che è il mio più continuo e più acerbo dolore.
37,18:E penserò al mia peccato. Confesserò il mio peccato, ma non per iscordarmene. Penserò sempre al mio peccato per averne dolore e offerire il sacrifizio perpetuo di un cuore contrito e umiliato per una verace e costante penitenza. Così il santo re, il quale peccò, ma una sola volta peccò. Vedi S. Agostino.
37,19:Ma i miei nemici vivono, ec. Ottimamente s'intenderanno queste parole non tanto de' visibili, quanto degli invisibili nemici dell'uomo, per resistere a' quali con tanta umiltà e fervore implora Davidde l'aiuto di Dio Salvatore.
Gen Es Lv Nm Dt Gs Gdc Rt 1Sam 2Sam 1Re 2Re 1Cr 2Cr Esd Ne Tb Gdt Est 1Mac 2Mac Gb Sal Pr Qo Ct Sap Sir Is Ger Lam Bar Ez Dn Os Gl Am Abd Gn Mi Na Ab Sof Ag Zc Ml Mt Mc Lc Gv At Rm 1Cor 2Cor Gal Ef Fil Col 1Ts 2Ts 1Tm 2Tm Tt Fm Eb Gc 1Pt 2Pt 1Gv 2Gv 3Gv Gd Ap