VULGATA NOVA VULGATA CEI1974 CEI2008
20,1:Phassur figliuolo di Emmer. Cioè uno dei discendenti di Emmer, il qual Emmer fu capo della sedicesima classe sacerdotale, I. Paral. XXIV. 14. Phassur era figliuolo di Melchia, cap. XXI.I., ed egli non era sommo sacerdote, ma maggiordomo, ovvero prefetto del tempio, e convien dire, che questa dignità gli desse il potere di punire chi facesse tumulto o altro mancamento nel tempio. Vedi cap. XXX.. 25. 26. 27.
20,2:Percosse Geremia. Alcuni intendono, che lo facesse flagellare co' soliti trentanove colpi. Altri, che lo stesso Phassur gli desse degli schiaffi.
E lo messe a' ceppi. S'intende di que' ceppi formati di due grossi legni aperti in varie distanze, nelle quali aperture si mettevano i piedi dei rei più o meno distanti l'uno dall'altro, secondo che voleasi dar loro maggiore o minor tormento.
Alla porta superiore di Beniamin, ec. È certo, che questa era una porta della città, come vedremo cap. XXVII.12 e altrove, ma contigua al tempio, e per essa entravasi nel tempio, onde era considerata come parte di esso.
20,3:Ma di Spavento ec. Il nome di Phassur, secondo s. Girolamo, significa viso tetro. Il nuovo nome, che Dio gli da, è Magur Missabib tradotto da s.Girolamo con quelle parole spavento universale, onde secondo queste etimologie il senso sarà questo: il tuo viso tetro non farà più paura ad alcuno, ma si tu sarai pieno di spavento e di paure, quando sarai condotto schiavo vile a Babilonia; e quel che sarà di te, lo sarà anche dei tuoi amici e fautori.
20,6:A' quali profetizzasti menzogna. Si vede, che Phassur faceva anche da profeta, e il vedersi smentito da Geremia dovette esacerbarlo contro questo vero Profeta.
20,7:Tu mi seducesti, o Signore, ed io fui sedotto: ec. Io non voleva intraprendere questo difficile ministero; ti dissi, ch'io era fanciullo balbuziente: il tuo comando, o Signore, mi violentò, ed è avvenuto a me quello, che può a un uomo, che sia stato sedotto da un altro, ed ho patito e patisco per obbedirti ogni sorta di patimenti. Parla il Profeta secondo i sentimenti della debil natura, sentimenti non ignoti agli stessi santi più grandi, come Giobbe e l'Apostolo delle genti, ridotto talora fino ad attediarsi della vita divenuta a lui quasi insoffribile. Vedi Job, X.; II. Cor. I. 8.
20,8:Grido contro l'iniquità. Grande affanno dei buoni egli è il tollerare contrari costumi, dei quali chi non rimane offeso, poco ha profittato: perocchè tanto più il giusto dell'altrui iniquità prova tormento, quanto più dalla stessa iniquità per se si allontana.
20,9:E dissi: Non mi ricorderò più di lei, ec. E un movimento umano di pusillanimità parlò nel mio spirito, e mi suggerì di mettere in dimenticanza questa parola del Signore, di non predicarla più, perchè io vedeva, che all'altrui emendazione non serviva, e a me non fruttava se non affanni: ma nello stesso momento io sentii questa parola divenir nel mio cuore quasi fuoco ardente, che penetrò tutte ancor le mie ossa, e io mi consumava, non potendo raffrenarne l'impetuosità e la forza. Così Dio non volle, che ozioso in me fosse il dono di profezia, ma mi obbligò a parlare anche agli ostinati e indurati fratelli.
20,10:E mi stanno a' fianchi; (e dicono) se in qualche modo egli cadesse in errore, ec. Quelli, che una volta erano miei amici, oggi giorno non per altro mi stanno a' fianchi, se non per osservare tutti i miei andamenti, e vedere se in qualche cosa io mancassi, per soverchiarmi e vendicarsi di me. Facevano costoro quello, che fecer costantemente i Farisei e gli Scribi con Gesù Cristo, di cui tutte notavano le parole e le azioni per sindacarle.
20,11:Ma sta meco il Signore ec. Qui la considerazione della possanza e della bontà di Dio rianima l'afflitto Profeta, onde in lui si fa forte, e tanto piu, perchè vede, che egli la causa sua, che è causa del medesimo Dio, prenderà sopra di sè, e lo libererà e punirà i persecutori. Questi, che non hanno fatto caso dell'obbrobrio eterno minacciato loro da me, saranno confusi, come meritano, e nel tempo e nell'eternità.
20,14-16:Maledetto il giorno, in cui io nacqui: ec. Cosi di Giobbe sta scritto, che egli maledisse il giorno di sua natività, dicendo: perisca il giorno, in cui io nacqui, Job, III. ...donde apparisce, che maledir questo giorno non vuol dir altro, se non bramare, che questo giorno non fosse mai stato, come giorno cattivo, perchè in esso venne alla luce un uomo, che tante dovea non sol vedere, ma predire e intimare agli altri, sciagure ed affanni, e tante dovea soffrirne nella propria persona. Con tali espressioni vuole il Profeta dipingere le angustie estreme di spirito, i serramenti di cuore, l'orrore dei mali presenti, ch'egli patisce, e lo spavento di quelli, che egli vede vicini a cadere sopra la sua infelicissima patria. Nella stessa guisa egli dice: non fosse mai stato quell'uomo, che al padre mio recò la novella della mia nascita: quest'uomo non era degno di premio per tale annunzio, ma piuttosto era degno di sciagura simile a quella, che soffrirono le città distrutte dal Signore senza riparo e senza ch'ei ne avesse pietà: quell'uomo fu degno di udire e mattina e sera le urla e le strida, che si odono in una città assediata e degna di non avere tranquillità: tanto fu infausta la novella, che egli portò. Ognun vede, che tutto questo discorso è iperbolico, in cui il Profeta vuol esprimere la grandezza del suo dolore. Vedi quello. che si è detto Job, X.
20,18:E si consumasser nella confusione ec. Vedi Job. X. 18.
Gen Es Lv Nm Dt Gs Gdc Rt 1Sam 2Sam 1Re 2Re 1Cr 2Cr Esd Ne Tb Gdt Est 1Mac 2Mac Gb Sal Pr Qo Ct Sap Sir Is Ger Lam Bar Ez Dn Os Gl Am Abd Gn Mi Na Ab Sof Ag Zc Ml Mt Mc Lc Gv At Rm 1Cor 2Cor Gal Ef Fil Col 1Ts 2Ts 1Tm 2Tm Tt Fm Eb Gc 1Pt 2Pt 1Gv 2Gv 3Gv Gd Ap