Giobbe - 30

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VULGATA NOVA VULGATA CEI1974 CEI2008


Giobbe deplora la passata felicità cangiata, permettendolo Dio, in somma calamità.

1Ma adesso mi scherniscono i più giovani di me, ai padri de' quali non mi sarei degnato di dar la cura de' cani della mia greggia:
2De' quali io nulla stimava la forza delle braccia, ed egli eran creduti indegni anche di vivere.
3Secchi per la povertà, e per la fame, che cercavan da rodere pel deserto, squalidi nella calamità, e miseria.
4E l'erba mangiavano, e la corteccia degli alberi, e loro cibo era la radice del ginepro.
5E di simili cose andavano in cerca per le valli, e trovate che ne avessero correvano a prenderle con grande schiamazzo.
6Abitavano nelle buche dei torrenti, e nelle caverne della terra, o sopra de' massi.
7E in tale stato erano allegri, e per delizia contavano lo star sotto i pruni.
8Figliuoli di gente stolta, e ignobile, i quali nemmen compariscono sopra la terra.
9Or io sua divenuto argomento delle loro canzoni, e oggetto de' loro schemi.
10Mi hanno in abominazione, e fnggon lungi da me, e non han ribrezzo di sputarmi in faccia.
11Perocché egli apri il suo turcasso, e mi trafisse, e il morso pose alla mia bocea.
12Nel mio fiorire spuntarono subitamente accanto a me le mie sciagure, mi hanno roversciato per terra, e venendomi sopra come una piena mi hanno oppresso.
13Mi hanno rotte le strade; coloro mi teser de' lacci, e la vinsero, perché non v'ebbe chi m'aiutasse.
14Quasi rotto il muro, e sforzata la porta si scagliaron sopra di me, e incrudelirono sopra la mia miseria.
15Fui ridotto nel nulla; tu mi rapisti qual vento, i miei desiderj, ed ogni mio bene se n'andò come nebbia.
16Ed ora dentro di me si strugge l'anima mia, e i giorni di afflizione si sono impossessati di me.
17La notte i dolori fiedono le mie ossa, e non assomma quelli che mi divorano.
18Il grande lor numero consuma il mio vestimento, ed ei mi cingono come tonaca, che serra il collo.
19Sono considerato come fango, e son fatto simile alla polvere, ed alla cenere.
20Alzo a te le mie grida, e tu non mi ascolti, e non volgi a me uno sguardo.
21Ti se' cambiato in crudele per me, e colla dura tua mano mi tratti come nemico.
22Mi innalzasti, e quasi ponendo mi sopra del vento mi desti orribil tracollo.
23Io so, che in balìa di morte tu mi darai là dove è assegnata abitazione ad ogni vivente.
24Tu però la tua man non adopri a consumarli del tutto, e quando saranno abbattuti, tu li salverai.
25Io piangeva una volta le altrui afflizioni, ed era pietosa col povero l'anima mia.
26Mi aspettai felicità, e mi venner sciagure, sperai luce, e sopraggiunser le tenebre:
27Sono infuocate le mie viscere, e non mi dan posa: mi han sorpreso i giorni di afflizione.
28Io me ne vo malinconico, ma senza trasporti d'ira; mi alzo, e grido in mezzo alla gente.
29Divenni fratello dei dragoni, e compagno degli struzzoli.
30Mi si è annerita addosso la pelle, le mie ossa sono inaridite pel grande ardore.
31Rivolta in pianto è la mia cetra, e in voce di dolor la mia lira.
Note:

30,1:A' padri de' quali non mi sarei degnato ec. Vale a dire: mi deridono de' giovanastri figliuoli di uomini cattivi vilissimi, i quali io non avrei sofferto di tenere in mia casa, e nemmen di mettergli al governo de' cani, che custodivano i miei greggi. Così il Grisostomo.

30,2:De' quali io nulla stimava la forza delle braccia. La forza delle braccia ell'è la facoltà di agire, di operare. Vuol adunque dire, ch'e' non eran buoni a far nulla di bene, ond'eran riputati come indegni di vivere: imperocchè la loro maniera di vita era non solo barbara, ma ferina, come apparisce da quello che segue.

30,4:La radice del ginepro. Non troviamo scritto da verun autore antico, o moderno, che le radiche del ginepro sien buone a mangiare: forse erano buone o almeno non cattive ad esser cibo de' miserabili nell'Idumea: ma non potrebb'ella essere piuttosto una maniera di proverbio il dire, che un uomo vive delle cortecce degli alberi, o delle radiche del ginepro, per dinotare un' estrema fame e miseria? Certamente fa d'uopo riconoscer qui una esagerazione, e amplificazione poetica.

30,5:Con grande schiamazzo. Facendo gran festa per aver trovato di che sfamarsi.

30,7:Per delizia contavano lo star sotto i pruni. Abitatione degna di uomini fieri e salvatichi.

30,11:Perocchè egli apri il suo lurcasso ec. Tali cose sono fatte contro di me, perché Dio mi ha posto qual segno alle sue saette.
E il morso posto alla mia bocca. Mi ha trattato qual giumento, mi ha messo il morso alla bocca, e mi conduce per quella strada, che a lui piace fino a soffrire le cose più dure e aspre, e ripuguanti alla natura. Vedi Ps. XXXI. 9.

30,12:Nel mio fiorire ec. Nel tempo della mia maggior felicità.

30,13:Mi hanno rotto le strade. Mi hanno renduto impraticabili tutte le vie, per le quali potessi cercar salute: non ho dove fuggire, né dove voltarmi.

30,15:I miei desideri. Tutto quello che io bramavo più ardentemente. I LXX lessero le mie speranze.

30,17-18:E non assonnan quelli ec. Tutti gl'interpreti Latini intendono questa parole de' vermi, che rodevano le membra di Giobbe, e anche la stessa veste.

30,22:Ponendomi sopra del vento. Ponendomi in luogo altissimo, in altissimo stato e felice.

30,24:Tu però la tua man non adopri ec. Io so, anzi lo vedo, che le mie miserie mi conducono a morte, ma io non perderò la speranza nella tua misericordia; perocchè nell'affliggere l'uomo, tuo disegno non è di sterminarlo e di perderlo, ma di salvarlo.

30,25:Io piangeva una volta le altrui afflizioni. Per qual motivo adunque non trovo io adesso tra gli uomini, e tragli amici stessi chi abbia di me pietà?

30,28:Io me ne vo malinconico, ma senza trasporti d'ira; mi alzo, e grida ec. Oppresso da infiniti mali pur frenai sempre gl'impeti del dolore e della impazienza, benché la violenza de' mali, ch'io soffro sia tale, che mi costringe talora ad alzar le strida davanti alla gente.

30,29:Divenni fratello dei dragoni, e compagno ec. Imito il lugubre urlare de' dragoni e degli struzzoli. La stessa similitudine si trova, Mich. I. 31.

30,31:Rivolta in pianta è la mia cetra. La mia cetra, sulla quale una volta io cantava a Dio canzoni di laude, cantici di letizia, non da adesso altro suono, che di tristezza e di lutto.
La mia lira. Non abbiamo tradotto organo affinchè, nissuno credesse, che si parli qui d'istrumento simile a quello, a cui diamo tal nome. Lo strumento, che è qui nominato, e affatto ignoto.

Gen Es Lv Nm Dt Gs Gdc Rt 1Sam 2Sam 1Re 2Re 1Cr 2Cr Esd Ne Tb Gdt Est 1Mac 2Mac Gb Sal Pr Qo Ct Sap Sir Is Ger Lam Bar Ez Dn Os Gl Am Abd Gn Mi Na Ab Sof Ag Zc Ml Mt Mc Lc Gv At Rm 1Cor 2Cor Gal Ef Fil Col 1Ts 2Ts 1Tm 2Tm Tt Fm Eb Gc 1Pt 2Pt 1Gv 2Gv 3Gv Gd Ap