Cantico dei cantici - 2

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VULGATA NOVA VULGATA CEI1974 CEI2008


1Io fiore del campo, e giglio delle valli.
2Come il giglio in mezzo alle spine, così la mia diletta tralle fanciulle.
3Come il melo tralle piante salvatiche, così il mio diletto trai figli; all'ombra di lui, che è il mio desiderio, io mi assisi, e il suo frutto al mio palato fu dolce.
4M'introdusse nella conserva dei vini: contro di me pose in ordinanza la carità.
5Sostenetemi co' fiori, stivatemi co 'pomi, perchè io languisco d'amore.
6La sinistra di lui sotto il mio capo, e la destra di lui mi abbraccerà.
7Io vi scongiuro, o figliuole di Gerusalemme, pe' caprioli, e pe' cervi de'campi, che non rompiate il sonno della Diletta, e non la facciate svegliare sino a tanto, che ella il voglia.
8Voce del mio Diletto: ecco, ch'egli viene saltellando pei monti, travalicando i colli.
9Il mio Diletto è somigliante ad un capriolo, e ad un cerbiatto: eccolo che si sta dietro alla nostra parte riguardando per le finestre, e osservando per le gelosie.
10Ecco, che il mio Diletto mi parla. Sorgi, affrettati, o mia Diletta, colomba mia, speciosa mia, e vieni.
11Perocché già l'inverno passò, i tempo piovoso andò via, e sparì.
12I fiori apparvero sulla nostra terra, il tempo di potare è venuto: la voce della tortorella si udì nella nostra campagna.
13Il fico ha messo fuora i frutti suoi primaticci: le vigne fiorite han dato il loro odore: sorgi, o mia Diletta, mia speciosa, e vieni.
14Colomba mia nelle fessure della pietra, nell'apertura della maceria: fammi vedere il tuo volto, la tua voce si faccia sentire alle mie orecchie; perocché dolce è la tua voce, e bello il tuo volto.
15Pigliateci le piccole volpi, chedanno il guasto alle vigne; perocché la nostra vigna è già in fiore.
16A me il Diletto mio, e io a lui, il quale tra i gigli pascola. Fino a tanto che il giorno spunti, e le ombre declinino.
17Ritorna: sii tu simile, o mio Diletto, al capriolo, e al cerbiatto sui monti di Bether.
Note:

2,1:Io fiore del campo, ec. Quasi tutti i Padri prendono queste parole come parole dello Sposo, e non della Sposa, e il versetto seguente, che è legato con questo, dimostra, per quanto a me sembra, che questa opinione è la vera. In vece di fior del campo, l'Ebreo si traduce: io rosa di Saron: ma la nostra Volgata è conforme a' LXX, e a questa lezione sembra alludere quel celebre oracolo d'Isaia: spunterà un pollone dalla radice di Jesse, e un fiore dalla radice di lui si alzerà, Isai. XI. I. E dicendosi in generale, che Cristo è un fiore, viene a significarsi, che in lui sono tutti i pregi, e tutte le virtù, delle quali può essere simbolo ciascun fiore, onde egli è fiore candido per la purità, fiore porporino per la passione, ceruleo per la sapienza celeste, di vari colori per la unione in lui di tutte le grazie, e di tutti i doni del cielo: la qual cosa fu dimostrata dallo stesso Profeta col noverare i doni dello Spirito santo, ond' egli fu ripieno, ivi 2. 3. 4. ec. Ed è detto ancora fiore del campo, come se dicesse: fiore non di giardino, coltivato per opera d'uomo, ma fiore, che spunta dalla terra fecondata dal sole, e dalla pioggia, che vien dal cielo, senzachè mano d'uomo alla nascita di lui abbia parte, onde in queste parole hassi una profetica promessa della maniera, onde Cristo sarà conceputo di Spirito santo, e nascerà dalla Vergine senza aver padre sopra la terra. S. Agostino, s. Gregorio, ed altri Padri osservarono, che Cristo è detto fiore dell'aperta campagna anche per dinotare come egli dovea essere la gloria comune, e la salute di tutti gli uomini, onde di lui si avverasse quello, che fu scritto di poi da Isaia: mi han trovato quelli, che non mi cercavano LXV. I. Per la qual cosa eziandio fu osservato da Paolo, che Cristo non dentro Gerusalemme, ma fuori della porta patì, e fu crocifisso divenuto vittima d'espiazione, e principio di salute non solo per le pecorelle di sperse della casa d'Israele, ma anche per tutte quelle altre di numero assai maggiore, le quali non erano di quell'ovile. Vedi Joan. X. 16., Heb. XIII. 12. È Cristo adunque, per così dire, il bene comune di tutti gli uomini esposto a tutti quelli che vorranno aver parte con lui, o godere dell'ineffabile fragranza di questo fiore.
Ma egli fu ancora in terzo luogo fiore del campo, perchè esposto alle ingiurie, e a tutti i mali trattamenti, che vollero fargli patire gl'increduli, nel qual tempo egli fu (dice s. Ambrogio) come fiore sterpato dal suolo, e messo a stillare al fuoco, dove gettò preziosissimo, e saluberrimo, e odorosissimo spirito; e molto a proposito notò Origene, che Dio una volta piantò nel mezzo del giardino delle delizie l'albero della vita, il quale conservasse agli uomini la florida gioventù, e li rendesse immortali; ma adesso in vece di quell'albero Cristo è di venuto fiore del campo, vale a dire di tutto il mondo, affinchè dalla eterna morte ci liberasse, e conservasse a noi il vigor dello spirito, e ci comunicasse di tutte le virtù la fragranza.
E giglio delle valli. Il giglio nelle valli, dove in maggior copia discende l'umore, viene più bello, e più odoroso; in esso oltre la bianchezza mirabile delle foglie si nota il colore dell'oro ne' piccoli fiori al di dentro, e per questi due lati principalmente egli è attissimo ad esser simbolo di Cristo: perocchè il color candido esprime la purissima umanità di lui, e il colore d'oro l'ascosa divinità; onde osservò eziandio un antico Interprete, che nel giglio si manifesta dapprima solamente il bianchissimo suo colore, indi a poco a poco il giglio si dilata, e si apre, e allora si fa manifesto l'aureo colore, che era pell'avanti nascosto: e nella stessa guisa nato nel mondo il Verbo fatto carne, prima come uomo ammirabile fu stimato da quelli, che in lui credevano, ma di poi si fe' conoscere vero Dio. E giglio delle valli fu ancor detto lo Sposo (dice Origene) quando per me, che era nella valle delle lacrime, scese egli in questa valle, e giglio divenne. Noterò finalmente, che quando lo Sposo esalta le sue divine virtù, non per altro fine egli il fa, se non per sollecitare la Sposa ad imitarle.

2,2:Come il giglio in mezzo ec. È certamente gloria grande della Sposa, e argomento dell'amore di Cristo verso di lei il darle lo stesso titolo di onore, ch'ei diede a se stesso nel versetto precedente, venendo così a indicare, come egli ha voluto farla simile a sè nella perfezione della santità. Per la qual cosa la stessa similitudine del giglio fu usata da Isaia in parlando della Chiesa stessa delle nazioni: allegrerassi la regione deserta, e non battuta, e tripudierà la solitudine, e fiorirà come giglio, XXXV.I. Nè solamente lo Sposo dà alla sua Chiesa il nome di giglio, ma paragonando con lei tutte le altre società degli uomini, che sono sopra la terra separate da lei, Gentili, Giudei, Eretici ec., dice, che ella da tutte queste è tanto diversa, quanto è dissimile il giglio dalle spine, a tutte ella sovrasta, e a tutte è superiore, quanto alle spine il giglio si preferisce: le spine nulla hanno nè di utile nè di dilettevole, ma e verdi, e secche pungono, e nuocono, nè ad altro son buone, che ad essere gittate sul fuoco. E così di tutti i nemici della Chiesa principalmente sta scritto: I prevaricatori saranno estirpati tutti come le spine, le quali non si spiantano colle mani, ma se uno vuol toccarle, si arma di ferro, o di un'asta di lancia, e si gittano al fuoco, II. Reg. XXXIII.6 7 Tra queste spine si sta, e si starà la Chiesa sino alla fine de' secoli, e da queste verranno a lei trafitture, e afflizioni, e dolori, conservando però ella sempre la sua altissima dignità, e bellezza, e stando al di sopra di tutte le temporali vicende, e presentando agli occhi di chi la riguarda i visibili segni, che la distinguono da tutte le altre società; e questi segni sono il deposito della vera Fede mantenuto incorrotto, e scevro d'ogni ombra di falsità, la purità della legge evangelica, che ogni peccato condanna, e tutto insegna quello, che è giusto, santo, utile al bene spirituale dell'uomo; il culto divino, con cui Dio si onora in ispirito, e verità; i doni di grazia, e d'ogni virtù, che in essa risplendono in ogni tempo, e in tutti gli stati di persone, ed eziandio i doni straordinari, de' quali non mancarono, nè mancheranno giammai nella stessa Chiesa gli esempli. Ma la Chiesa cattolica ( come si è detto di sopra cap. I. 4.) contiene e i buoni, e i cattivi, onde disse ella di sè: negra son io, ma bella, ed in quanto ella è congregazione de' giusti, di lei si avvera, che ella è come giglio tralle spine, e le figlie indocili, e disobbedienti sono anch'esse le spine, ond' ella è sovente trafitta, e (come notò s. Agostino) trafitta talora assai peggio, che da' suoi dichiarati nemici. Queste spine tollerate da Dio nella Chiesa fino al tempo di estirparle, e gettarle nel fuoco, in primo luogo rendono più ammirabile la virtù de' giusti, e servono in secondo luogo a farli e più virtuosi, e più forti, e perciò degni di ricompensa maggiore.

2,3:Come il melo tralle piante salvatiche, ec. Come il melo, pianta domestica, e coltivata è più stimata delle piante salvatiche, e la sua ombra è più gradita, e salubre, e pe' suoi frutti ancora ella è preferibile a tutte le piante del bosco, così il mio diletto in bellezza, in dignità, ed in merito sorpassa tutti i figliuoli degli uomini. Noterò, che un'antica versione invece di melo pose melogranato. Lo Sposo avea lodata la Sposa paragonandola, e facendola simile al giglio, ed ella riconoscente di tanto favore, celebra lo Sposo con laude tanto maggiore, quanto a tutta la beltà, e a tutti i pregi del giglio è preferibile l'odore, l'utilità e la dolcezza de' frutti di un melo. Questa similitudine dello Sposo ad una pianta di melo potrà parere al primo aspetto assai difettosa, trattandosi qui di quella stessa Sapienza del Padre, la quale di sè parlando disse: Mi alzai qual cedro sul Libano, e qual cipresso sul monte Sion, stesi i miei rami come palma di Cades, e come pianta di rosa in Gerico: m'innalzai come un bell'ulivo ne' campi, e come platano nelle piazze presso alle acque Eccl. XXIV. 17.18. 19. il melo certamente è pianta assai piccola in paragone di quelle: ma nondi meno (come osserva s. Bernardo) la similitudine del melo è qui molto più a proposito; perocchè non è qui com mendata la maestà del Verbo del Padre, per cui furon fatte tutte le cose, e senza di cui nulla fu fatto di quel, che fu fatto; ma è commendata la umiltà, e la carità, con cui la stessa Sapienza s'impiccoli per l'uomo; onde sta scritto: un piccolo figlio è nato a noi, Isai IX. 6. Le piante salvatiche infruttuose, tralle quali nacque questa pianta di grato utilissimo frutto sono gli uomini, i quali per lo peccato de' progenitori perduta la giustizia originale furono per così dire sradicati dal giardino di delizie dove piantati presso le acque doveano portare frutto di giustizia, e divennero per loro colpa in questa selva del mondo piante salvatiche incapaci di produrre alcun frutto, se non cattivo, ed acerbo; ma questi uomini ben chè in tanta miseria caduti, sono detti figliuoli, ma figliuoli simili a quelli, de' quali lo stesso Sposo per Isaia dice (cap. 1. 2): ho nudriti, ed esaltati de' figli, ed eglino mi han disprezzato. Nacque pertanto in questa selva selvaggia in mezzo alle piante di nissun frutto questa umile, ma fruttuosissima pianta, nacque ed apparve tra i rei figli di Adamo peccatore il Cristo, e nacque a questo sol fine, di cangiare le cattive qualità di quelle piante, e di renderle fruttuose, e feconde; nacque per far sì, che gli uomini innestati a lui stesso divenisser partecipi di sua stessa virtù, e feraci di buoni frutti; e a questa sorte pervennero tutti quelli, i quali per la fede, e per l'amore si unirono a lui. Vedi s. Gregorio Nisseno. Chi vorrà paragonare la dottrina, e la vita di Cristo, e de' suoi veri figliuoli colla dottrina, e co' costumi de' Gentili per tutto il tempo, ch'ei furono senza Cristo, come dige l'Apostolo, intenderà quanto sia giusta, e appropriata questa similitudine delle piante salvatiche, le quali potevan forse aver delle foglie, ma non mai i frutti di soda virtù; onde di essi fu scritto: son diventati ugualmente inutili: non havvi chi faccia il bene, non ve n'ha neppur uno, Psalm. XXIII. 3. E i giusti stessi, gli stessi figliuoli di Dio nissuna buona opera, nissun buon frutto posson produrre senza di lui, che è il principio di ogni grazia, e perciò anche il principio d'ogni buona opera.
I Padri in gran numero in questa pianta di melo hanno ravvisata la Croce di Cristo in mezzo alle piante selvagge, in mezzo a'Giudei, che lo bestemmiavano, e particolarmente in mezzo a' due ladroni, co' quali fu crocifisso, e i frutti saluberrimi della stessa Croce hanno ravvisati nella subitanea conversione di uno di essi, il quale immediatamente produsse frutti di penitenza, e di fede, e di speranza e di amore. Vedi Teodoreto.
All'ombra di lui, che è il mio desiderio, ec. Continua la similitudine della pianta di melo, la cui ombra è assaigrata, e salubre. Una specie di ombra del Cristo, e de' misteri di lui era l'antica legge con tutti i suoi riti, e con tutti i suoi sacrifizi carnali, e di essa dice l'Apostolo: la legge, avente l'ombra de' beni futuri, non la stessa espressa immagine delle cose, con quelle ostie, che continuamente offeriscono ogni anno non può mai render perfetti color, che sacrificano, Hebr. X. I. Non poteva perciò a quell'ombra trovar vero conforto, e refrigerio la Chiesa, ma sostenevasi colla fede, e colla speranza nel Cristo promesso, alla cui venuta quell'ombra ebbe fine. Venne finalmente il desiderio della Chiesa, il desiderio delle nazioni, il Verbo fatto carne, e all'ombra di lui si assise la Chiesa, ed ivi trovò non sol refrigerio, e consolazione, ma perfetta quiete, e salute. L'ombra di Cristo è la protezione di lui e l'amore, col quale secondo l'antico rito nuziale stese egli il suo pallio sopra la sua serva, all'ombra del quale a se l'associò, e la fece sua Sposa, comegià Booz con Ruth, nobile figura di Cristo, e della sua Chiesa. Vedi Ruth, III. 9., ed Ezechiele, XVI. 8. Da indi in poi e la Chiesa, e i suoi figli dicono a lui: all'ombra tua noi viveremo tralle nazioni, Thren. IV. 20. Perocchè egli sarà per la Chiesa come luogo di riparo dal vento, e rifugio dalla tempesta e come rio di acque in tempo di sete, e come l'ombra di un masso, che sporge in fuora in deserta campagna, Isai. XXXII. 2. All'ombra adunque di questa misteriosissima pianta sta assisa la Chiesa, e ne tragge frutti di perfetta salute; imperocchè se l'ombra di un Apostolo di Cristo fu potente a sanare tutti i malati, quanto più l'ombra di Gesù crocifisso debb'essere efficace a discacciare tutti i mali dell'uomo, e tutti i languori? Ma non dee lasciarsi di osservare, che questa ombra benchè tanto salubre ed amabile non è l'ultima delle brame della Sposa: perocchè ella non dice, che suo desiderio sia quell'ombra, ma bensì che suo desiderio è colui, il quale con tale ombra la cuopre: all'ombra di lui, che è il mio desiderio ec. Le brame adunque di questa Sposa tendono direttamente a lui, che è sua protezione, e sua custodia nella vita presente, ma che dee essere sua felicità, e suo gaudio pieno e perfetto nella patria celeste, dove a faccia a faccia il contempli, e non come di presente a traverso di uno specchio, e per via di enimmi.
I frutti di questa pianta sono in primo luogo l'intelligenza delle più sublimi verità manifestate da Cristo alla Chiesa: sono in secondo luogo gli affetti di tenera pietà, di gratitudine, e di amore, e in una parola tutti i doni dello Spirito santo mandato da Cristo sopra di lei. Vedi Teodoreto. E qual meraviglia si è, se tali frutti dice la Sposa essere stati dolci al suo palato, mentre ella non altri può amarne? Ma un altro frutto di esimia incomparabil bontà, e dolcezza, a cui può alludere la Sposa, egli è il Sacramento del corpo, e del sangue lasciatole dal suo Sposo non solo a nudrire, ma a ricolmare di beni, e di delizie il suo spirito. Sopra di che è stato osservato da altri, che il frutto del melo non solamente è cibo dolce, e di ottima sostanza, ma disfatto, e concotto divien salubre bevanda. Qual frutto adunque più dolce per la Sposa, e per qualunque anima può trovarsi di quello, per cui ella sta in Cristo, e Cristo sta in lei (Joan. IV. 56), e stando in lei la rende idonea a produrre ella stessa frutti di vita eterna? Vedi s. Bern. Serm. 48.

2,4:M'introdusse nella conserva ec. Molto bene dice la Sposa, che in questa conserva de' vini non entrò ella per propria elezione, ma dallo Sposo vi fu introdotta; perocchè non avrebbe ella ardito da se medesima di aspirare ad un bene sì grande. Il vino nelle Scritture è posto per simbolo dell'amore, e la ebbrezza, che è effetto del molto vino, dinota la veemenza, e la pienezza dell'amore, per cui l'anima senza perdere la ragione (come nell'ebbrezza prodotta dal vino materiale) è innalzata e rapita fuori di ec. L'esser adunque introdotta la Sposa nella con serva dei vini, viene in primo luogo a predire quello, che avvenne nella Chiesa nascente, allorchè il dì della Pentecoste lo Spirito santo scendendo sopra i fedeli diffuse ne' loro cuori una carità sì fervorosa, e ardente, che mosse a stupore tutta Gerusalemme, donde i nemici di Cristo presero occasione di dire, ch'erano ebbri di vino, Act. II. 13.15 in secondo luogo sono introdotte in questa con serva del vino spirituale (dice s. Bernardo) quelle anime, le quali mediante lo studio della orazione si accendono di amor divino, ardono di zelo della pietà, e in tutte le spirituali occupazioni, ed uffici sono grandemente fervo rose, talmente che possano dire: si accese dentro di il cuor mio, e un fuoco divampò nella mia meditazione, Psal. XXXVIII. 4.Contro di me pose in ordinanza la carità. Tale è il vero senso della nostra Volgata, come pure dei LXX, e ad esso si riduce ancora l'Ebreo. Parla della carità come di un esercito forte, e messo in buon ordine per vincere; ed ella è certamente la carità dello Sposo quella, che tutte le sue forze indirizzò, e dispose fin ab eterno a guadagnare, e cattivare l'amore della Sposa. Viene adunque ad accennare la Sposa l'immensa schiera de' benefizi fattile da lui, che l'amò, e dell'infinito amor suo le diede pegni sì grandi, e senza numero, onde a se la trasse co' vincoli propri degli uomini, co' vincoli della carità. Oseae XI. 4. Tra tutti però i benefizi divini tre in particolare possono distinguersi, che ne includono molti e molti altri, e nella meditazione de' quali le anime giuste sono introdotte a bere il vino dell'amore più forte, e ardente. Questi benefizi sono l'Incarnazione del Verbo di vino, l'atrocissima sua passione, e finalmente il mistero del corpo, e del sangue di Cristo, nel quale egli diviene pane di vita, e vino, onde germoglian le Vergini. Tutti questi tre benefizi, i quali comprendono infiniti miracoli della potenza, sapienza, e bontà del Signore, sono espressi in due sole parole dal grande Apostolo, che disse: mi amò, e diede se stesso per me; e con questi Cristo si assicurò di trarre a sè i cuori di tutti gli uomini: trarrò a me tutte le cose, Joan. XI. 32., come se dicesse: se gli uomini non sanno amarmi in virtù e della naturale loro obbligazione, ed in virtù del mio comandamento, li forzerò dolcemente a riamarmi facendo loro vedere fino a qual segno io gli ami. La santa dolcissima ebbrezza, di cui è fonte perenne l'attenta considerazione dell'amore, e dei misteri di Cristo, è dipinta mirabilmente in queste parole di Paolo: chi ci dividerà adunque dalla carità di Cristo o forse la tribolazione o forse l'angustia? forse la fame o forse la nudità o forse il risico o forse la persecuzione o forse la spada o,.. Ma di tutte queste cose siamo più che vincitori per colui, che ci ha amati. Imperocchè io son sicuro, che nè la morte, nè la vita, nè gli Angeli, nè i principati, nè le virtudi, nè ciò, che sovrasta, nè quel, che ha da essere, nè la fortezza, nè l'altezza, nè la profondità, nè alcun' altra cosa creata potrà dividerci dalla carità di Dio, la quale è in Gesù Cristo Signor nostro, Rom. VIII. 35. 39.
Non debbo qui finalmente dissimulare, come secondo un'altra sposizione assai celebre, le parole della nostra Volgata dovrebbon tradursi: pose in ordinanza in me (ovver dentro di me) la carità; intendendosi della carità, onde fu inebriata la Sposa introdotta dal suo Diletto nella conserva de' vini, cioè innalzata alla contemplazione de' sublimissimi misteri di Cristo, onde si accese in lei formisura il fuoco del santo amore. La carità ha sopra tutte le virtù il primato, anzi, dice s. Agostino, la vera definizione della vera virtù è questa, che ella è ordine dell'amore. De civit. XV. 22. Quindi in altro luogo più chiaramente spiegandosi ragiona così: Se la virtù alla vita beata conduce, io direi null'altro essere la virtù, se non il sommo amore di Dio; perocchè la virtù, che in quattro parti dividesi, da' vari affetti dello stesso amore distinguesi. La temperanza è l'amore, il quale intero, e indiviso si serba a Dio, che si ama. La fortezza è l'amore, che tollera con facilità tutte le cose pel bene che si ama. La giustizia è amore, che serve solo a lui, che si ama, e perciò rettamente governa. La prudenza è amore, che sceglie con sagacità, e discerne le cose che lo aiutano da quelle, che gli sono d'impedimento, De morib. Eccl. 1. 15. E il grande Apostolo nel grandioso elogio, ch'ei tesse della carità, avea già detto: la carità a tutto si accommoda, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta, 1. Cor. XXIII. 7. Quando adunque dice la Sposa, che il suo Diletto pose in ordinanza dentro di lei la carità, ella venne a significare la perfezione della vita Evangelica, secondo la quale tutto quel che fa l'uomo, nella carità sia fatto, come insegna l'Apostolo, I. Cor. XIV. 16., e dalla carità proceda, e al fine della carità sia indiritto, onde in tutte le sue operazioni l'uomo ami il suo Dio. Secondo un altro riflesso ancora (come notò Origene) si dice ordinare nella Sposa, e nell'anima perfetta la carità, allorchè quest' anima ha in se abitante lo Sposo, il Verbo che è Sapienza; perocchè allora la carità è ordinata, e ciascuna cosa al suo luogo si ama. La parola divina ti ordina di amare il padre, il figliuolo, la figlia; vuole la parola divina, che tu ami Cristo; e non ti dice, che tu non ami i figliuoli, e i genitori; ma che inordinata non sia la tua carità, che tu non ami prima il padre, la madre ec. e di poi Cristo, che non ami i genitori, e i figliuoli più di Cristo: Chi ama il padre, e la madre più di me, non è degno di me: chi ama il figlio, o la figlia più di me, non è degno di me, Matt. XX. 37. Così Origene.

2,5:Sostenetemi co' fiori, ec. Vale a dire: confortatemi coll'odor ricreante de' fiori, e de' meli, perch'io sopraffatta dalla veemenza dell'amore dò in isfinimento, dove i LXX nello stesso senso tradussero: perch'io son ferita dall'amore, ovvero perchè l'amor mi ferì. Perocchè ha l'amore divino le sue saette, e ne avea già parlato Davidde, dello stesso Sposo parlando, di cui qui si parla, e dicendo: Le tue penetranti saette trapasserànno i cuori de' nemici del Re, i popoli cadranno a' tuoi piedi, Psal. XLIV., e vuol dire: allorchè tu, o Re di pace, e di amore, farai uso di tue saette, saette penetrantissime a vincere i cuori degli uomini, i tuoi stessi nemici saran feriti profondamente, e vinti dalla tua carità, e gl'interi popoli si soggetteranno al tuo regno. Or queste saette sono la efficace viva parola di lui più penetrante d'una spada a due tagli, e che s' interna fino alla divisione dell'anima, e dello spirito, Heb. IV.12 Quindi per Isaia lo stesso Cristo parla, e dice: Dall'utero della Madre il Signor mi chiamò,.. E fece mia bocca quasi spada tagliente,.. e di me fece quasi tersa saetta, Isai. XLIX. I.2 E da simil saetta erano feriti quelli, che dissero: Non ardeva egli a noi il cuore in petto, mentre per istrada ei ci parlava? Luc. XXIV. 37.
Sono ancora saette di questo amore i doni, e i benefizi grandissimi, e senza numero, pegni dell'eccessivo amor suo verso i figliuoli degli uomini. Da simil saetta era ferito il cuore di colui, che diceva: Bramo di esser disciolto, e di esser con Cristo: chi mi libererà da questo corpo di morte o Vivo io, già non più io, ma vive in me Cristo. E similmente era ferita quella donna, la quale già peccatrice nella città, si getta a' piedi di Cristo nella casa del Fariseo, in tempo di convito, e colle sue lacri me bagna i piedi di lui, e gli asciuga co' suoi capelli, e versa sul capo di lui un vaso di unguento prezioso e le son rimessi molti peccati, perchè molto amò. Onde disse di lei s. Paolino: I piedi di Cristo furono a questa donna come un sacrario, e un altare; ivi fe' sue libagioni col pianto, l'offerta collo spargimento del suo unguento, il sacrifizio colla immolazione dei suoi affetti, Ep. 4. E qual ferite di carità non fa nell'anime giuste la considerazione di Cristo ferito pelle nostre iniquità, spezzato per le nostre scelleratezze? Is. LIII. 5. il languor della carità (come notò s. Tommaso I. 2. q. Vers. 28 a 5.) è la tristezza dell'assenza del bene amato, tristezza nascente da fervido desiderio del medesimo bene. E nello stesso senso s. Agostino: Se amiamo, non avendo quello, che amiamo, è di necessità, che siamo in dolore; perocchè ama, e non è in dolore colui, che ha quello che ama; ma chi ama, e non ha ancora quello, che ama, non può non gemere nel suo dolore, e per questo dice la Sposa, che ella languisce d'amore: perocchè amava, e non possedeva, e si affliggeva, ed era ferita; ma questa ferita portava con somma celerità alla salute la Sposa; e chi di tal ferita non è malato, alla vera salute non può pervenire, in Psal. XXXVII. Le parole della Sposa: Sostenetemi coi fiori, ec. posson essere indiritte o agli Angeli di Dio, o ai compagni dello Sposo, ovvero alle compagne della Sposa medesima. Ma che chiede ella quando nel suo sfinimento domanda per suo conforto i fiori, e i pomi, vale a dire i fiori, e i frutti di quella pianta medesima, all'ombra di cui ella già si assise? vers. 3. Quella pianta, come già si disse, era figura del suo Diletto, figura di Cristo, e di Cristo crocifisso, e per questi fiori, e pe' po mi ella intende le parole, gli esempi, i documenti, le azioni del medesimo Cristo, delle quali cose il pensiero, e la imitazione è il conforto dell'anime giuste nell'assenza dello Sposo medesimo; con queste elle consolano il tedio, e l'amarezza del loro pellegrinaggio, con queste porgon ristoro all'afflitto, ed angustiato lor cuore. La memoria di Cristo, l'imitazione delle sue virtù è per un' anima amante la consolazione del suo esilio, e di tutte le tribolazioni, che lo accompagnano. E ambedue queste cose sono necessarie, e l'una senza l'altra non sarebbe sufficiente conforto, onde sta scritto: Alziamo i nostri cuori colle nostre mani a Dio, Thren. III. 41. Or i cuori, e le mani si alzano a Dio, quando l'orazione, e la meditazione colle opere si accompagna, o si corrobora; onde e i fiori, e i frutti domanda la Sposa. Non mi diffonderò di più a spiegare i prodigiosi effetti dell'amore Divino, e le diverse maniere, onde egli opera nelle anime ferite da lui: cosa che non è da me. Se Dio farà capitare questo libro nelle mani di alcuna di quelle anime fatte degne di essere introdette dallo Sposo nella conserva de' vini, ella supplirà co' suoi lumi, e colla propria sperienza a quello, che io non so dire: e da lei vorrei io poter intendere quello, che non so insegnare: Ipsa me doceret potius, quam a me disceret, August.

2,6:La sinistra di lui ec. Quando la Sposa, che avea domandato di essere confortata coll'odore de' fiori, e col sostegno de' pomi, chiede adesso, che la sinistra dello Sposo sostenti il suo capo, e la destra di lui l'abbracci, ella viene a dire in sostanza, e chiaramente, che suo vero sostegno, e suo conforto, e medicina alla sua ferita, e al suo languore egli è Cristo. Per la sinistra adunque, e per la destra di lui vengono indicate le due nature, che sono in Cristo: la umana natura con tutto quello, che egli fatto uomo per noi operò, e patì, è significata per la mano sinistra; la divina natura poi è significata per la mano destra, la quale nelle Scritture (quando di Dio, e del Cristo si parla) è simbolo della fortezza, onde Cristo più volte è chiamato braccio di Dio. Brama adunque la Sposa, che il suo Diletto, che è Dio, ed Uomo sia tutto il suo sostegno, e sua consolazione negli amorosi suoi sfinimenti; la sostenga quasi colla si nistra, colla rimembranza de' misteri operati per lei nella carne mortale, quali sono la sua concezione nel seno della Vergine, la sua nascita, la sua conversazione tragli uomini, la sua predicazione, la passione, e la morte; la sostenga colla destra sua forte, vale a dire colla potenza della Divinità, con cui tutto il corpo della Chiesa egli abbraccia, e sostenta. Così questa preghiera della Sposa aggiunge alla precedente, e la illustra. Questa stessa cosa fu con simbolo un po' differente significata nella donna veduta da s. Giovanni, la qual Donna era vestita di sole, e sotto i piedi di lei era la luna, Apocal. XII. I. il sole fonte perenne di luce rappresenta la divinità di Cristo, come notò s. Agostino (in ps. 73. 16.); la luna poi luminare minore, il quale la sua luce riceve dal sole, è figura dell'umanità dello stesso Cristo, il quale fatto carne nella notte del secolo rifulse a illuminare le genti, Luc. II. 31. Questo Sole divino adunque veste, cinge, abbraccia tutta la Chiesa, cui egli illustra, orna, e protegge; la luna poi sta sotto i piedi della mistica donna come sostegno, su di cui si regge la stessa donna, perchè Cristo in quanto uomo è il fondamento della Chiesa, e pietra, su di cui ella posa. Ecco ch'io pongo nei fondamenti di Sion una pietra, pietra eletta, angolare, preziosa, saldissimo fondamento, Isai. XXVIII. 16. Vedi pr. Cor. III. II.
Può ancora per la sinistra dello Sposo intendersi la grazia, con cui aiuta la Chiesa, e la consola, e ravviva nella vita presente, come pella destra può significarsi la felicità, e la gloria della vita, che non ha fine, e in questo senso dice s. Bernardo: La sinistra solleva, la destra protegge; la sinistra medica e giustifica, la destra ab braccia, e fa beati; nella sinistra stanno i meriti, nella destra le ricompense; nella destra le delizie, nella sinistra le medicine, Serm. de Vig. Nat. Dom.

2,7:Io vi scongiuro, o figliuole ec. A tutti i segni, e a tutte l'espressioni di tenerissimo affetto udite dalla bocca della Sposa corrisponde lo Sposo con iscongiurare le figliuole di Gerusalemme, che non turbino, nè rompano il dolce riposo, di cui ella gode. E ciò può riferirsi a quel tempo, nel quale gli Apostoli ricevuto lo Spirito santo cominciarono con gran fervore a predicare Gesù Crocifisso, e a glorificare il nome di lui operando nello stesso nome grandi miracoli, quando un solo ragionamento di Pietro aggiungeva alla Chiesa ora i cinque, ora i tremila credenti, quando de' sacerdoti stessi una gran moltitudine si riduceva alla obbedienza della Fede, Atti II. 4I., v. 4. Godè la Chiesa allora per qualche poco di tempo un dolce riposo. Ma lo Sposo ben sapeva, e la Sposa stessa illuminata da lui lo avea predetto, cap. I. 6., come i Giudei increduli non avrebbon veduto senza dispiacere, e senza dispetto la moltiplicazione del Cristianesimo. Gli avverte perciò, e gli scongiura a non disturbare la tranquillità della Chiesa nascente. E ai Giudei di Gerusalemme principalmente rivolgesi, perchè in questi maggiore era l'odio, e l'avversione al nome di Cristo, e li scongiura pe' caprioli, e pe'cervi delle campagne, vale a dire pel rispetto, che debbono agli Angeli santi, i quali custodiscono la stessa Chiesa, e vegliano con occhio più acuto de' caprioli, e con celerità maggiore di quella de' caprioli, e de' cervi voleranno a soccorrerla, e a punire chi la perturba. Siccome però ne' posteriori tempi dovean trovarsi nella Chiesa medesima de' cattivi figliuoli, e de' finti Cristiani, i quali la pace di lei, e la preziosa unità erano per lacerare coll'eresie, e colle scisme, a tutti questi la esortazione gravissima, e la severa minaccia dello Sposo è indiritta. E in ciò l'amor grande, e inesplicabile, ch'ei porta alla Chiesa si manifesta, amore, ch'ei dimostrò eziandio allora quando vicino a morire nissuna cosa raccomandò più for temente a' suoi Discepoli, che la mutua dilezione, e nissuna cosa più ardentemente domandò al Padre per essi, e per tutti quelli, che erano per credere in lui, che la costante uniformità degli animi in quel che concerne la fede, e l'amore fraterno; unione tanto perfetta, che rappresenti in qualche maniera la perfettissima unione di lui col Padre: Sieno tutti una sola cosa; come tu se' in me, o Padre, e io in te, sieno anch'essi una sola cosa in noi, Joan. XXVII. 21. Così de' primi credenti si legge, che un sol cuore erano tutti, e un'anima sola, Act. IV. 32. Nissuma cosa adunque è più contraria allo spirito di Cristo, e de' veri fedeli che lo spirito di divisione, di scisma, di eresia, che rompe la pace, e l'unità della Chiesa. Fa di mestieri (disse l'Apostolo) che sienvi anche dell'eresie, affinchè si palesino que' che sono di buona lega, I. Cor. XI. 19. E il Salvatore stesso disse esser necessario, che venissero delli scandali; ma soggiunse ancora: Ma guai a quell'uomo, per colpa del quale viene lo scandalo, Matth. XVIII. 9. Quando pertanto lo Sposo proibisce con gran sollecitudine, e severità di turbare la pace della sua Sposa fino a tanto, che ella il voglia, viene ad intimare, che nissuno ardisca di turbarla giammai; perocchè non sarà mai alcun tempo, in cui la Chiesa animata dallo spirito del suo Sposo e Maestro non ami la pace, e la unità, e non abbia in odio la divisione, e la discordia. Così nel Salmo LXXI. 7. si dice: Spunterà ne' giorni di lui (di Cristo) giustizia, e abbondanza di pace fino a tanto che non sia più la luna, vale a dire per sempre; perocchè sempre sarà la luna.

2,8-9:Lo Sposo, che lasciò addormentata la Sposa, viene repentinamente, e da lungi la chiama, e l'amor suo fa riconoscere a lei il suo Diletto alla voce, ed ammira la celerità con cui corre a trovarla. Qui adunque viene a descriversi, e profetizzarsi secondo tutti i Padri, e Interpreti, l'ammirabile felicissima per noi venuta del Verbo divino nella mostra carne. Voce del mio Diletto. Molte furon le voci, colle quali lo Sposo parlando a' Patriarchi, ed ai Profeti la sua venuta annunziò da lungi; perocchè fin da quando i primi progenitori, trasgredito il comando di Dio, furono cacciati dal Paradiso terrestre, a sostenere la speranza del genere umano fu predetto quel figliuolo della Vergine, che dovea schiacciare il capo del nemico serpente; promessa ripetuta dipoi tante volte in tutte le Scritture del Vecchio Testamento, le quali leggendosi continuamente dalla Sinagoga erano tante voci, che la esortavano a prepararsi a questa venuta. Ma questa approssimandosi finalmente, una voce più chiara, e distinta si udì, che fu quella del Precursore, il quale di se stesso disse: Io voce di uno, che grida nel deserto, preparate la via del Signore, Luc. III. 4., e collo stesso nome di voce fu predetto da Isaia XL. 3. Per la qual cosa molti Padri, e Interpreti quando la Sposa disse: Voce del mio Diletto, intesero per questa voce significato lo stesso Giovanni: quasi volesse dire la Sposa: Io non veggo ancora lo Sposo, ma odo uno, che parla, il quale del mio Sposo è la voce; conciossiachè questo nome fu dato a Giovanni come suo proprio, dice s. Agostino Serm. XX. de Sanct. Vero è, che gli altri Profeti ancora predissero il Cristo colle parole, ed eziandio talora coi fatti; ma nissuno in questo uffizio è da paragonarsi a Giovanni, di cui il concepimento, la nascita, la vita tutta, e la predicazione nel deserto fu un annunzio continuo agli uomini di prepararsi ad accogliere il Messia, che stava già per venire; fu un dire a tutti: Ecco ch'egli viene: Ecco che egli viene l'Angelo del Testamento, l'autore della nuova legge, il dominatore aspettato, e cercato da voi; perocchè in tal modo predicò Giovanni, come fu già predetto da Malachia II. I. I profeti antichi non potevano dire, se non: Ei verrà, ma Giovanni dice: Egli viene, e quasi col dito lo accenna.
Ecco, che egli viene, saltellando pe' monti, travalicando i colli. Ricordiamoci, che affine di preparare la via al Signore, Giovanni diceva: Tutte le valli si riempiranno, e tutti i monti, e le colline si abbasseranno, Luc. III. 5. Imperocchè ambedue le profezie, quella di Salomone, e quella di Giovanni dicono una stessa cosa in termini equi valenti. Che pe'monti, e pelli alti colli sia intesa nella profezia di Giovanni la superbia degli uomini (impedimento il più grande a far ricevere, e adorare un Messia povero, umile, crocifisso) il dimostrano s. Agostino, s. Giovanni Grisostomo, s. Gregorio M., e generalmente gl'Interpreti, e la cosa è eziandio notissima a chi ha qualche cognizione del linguaggio delle Scritture; e diverrà evidente quando la stessa profezia con altra di Habacuc si paragoni. Questi adunque parlando delle vittorie del Cristo dice: Mirò, e conquise le genti, e le vetuste montagne furono stritolate; furono depressi i colli del mondo, allorchè si messe in viaggio l'Eterno, Cap. III. 6. Ed è da notare, che e nell'uno, e nell'altro luogo i monti, e i colli, cioè i superbi si dicono umiliati, depressi, strito luti alla venuta del Cristo, non tanto perchè fossero gli stessi uomini annichilati, e distrutti, ma principalmente perchè fu distrutta la loro superbia, e il fasto mondano, ed eglino di altieri divennero umili e docili, e obbedienti alla voce di Cristo; onde furono come le bassevalli, delle quali sta scritto: le valli abbonderan di frumento, Psal. LXIV. 14.; a quelli poi, i quali resistendo allo Spirito santo si mantennero ostinatamente contumaci e ribelli, toccò a provare il rigore delle divine vendette, onde furono sterminati. Venne adunque lo Sposo, venne l'Eterno saltellando pe'monti, valicando i colli, i quali sotto i passi di lui s'incurvarono, si depressero, si umiliarono; e veramente più che insanabile dovea essere quella superbia, la quale alla vista dell'Eterno, che appariva umile nella carne nostra mortale, non si umiliasse. Non debbo lasciar di notare, che dove la nostra Volgata dice: Saltellando pe' monti, travalicando i colli, un'antica versione greca legge: Salendo contro de' monti, saltando contro de' colli, Simm. Ma la Sposa ammessa a tutti i se greti di Cristo esprime nella Volgata la incredibile carità, e prontezza di spirito, colla quale il suo Sposo scese per lei dal cielo venendo a correre la sua penosa carriera, onde di lui sta scritto: Questi come uno Sposo, che esce dalla stanza nuziale, spunta fuor quali gigante a fornir sua carriera, Psal. XVIII., la qual cosa eziandio viene dimostrata da quel che la Sposa soggiunge: il mio diletto è somigliante ad un capriolo, e ad un cerbiatto, animali, come ognun sa, velocissimi al corso. Imperocchè Cristo è quel figliuolo della Vergine profetessa, il cui nome sarà: Affrettati a torre le spoglie, fa' presto a predare, Is. VIII. 3.
In questa discesa del Verbo di Dio (mistero grande rivelato alla Sposa) i Padri considerano i diversi passi, che ei diede dalla sua concezione fino al pieno compimento dell'opera, per cui discese sopra la terra. Per non uscire dai termini di una discreta brevità mi ristringo a quel, che ne dice s. Gregorio di Nazianzo: viene il Cristo dal cielo, dal seno del Padre nel seno della Vergine; dal seno della Vergine passa alla mangiatoia; dalla mangiatoia la persecuzione di Erode lo fa passar in Egitto; dall'Egitto ripassa nella Giudea, ed ivi dopo aver predicato, e fatti infiniti miracoli passa a morir sulla croce; dalla croce passa al sepolcro; e dal sepolcro finalmente ascende all'alto, donde (come dice l'Apostolo) distribui doni agli uomini, mandando cioè ad essi lo Spirito santo, Ephes. IV. 8 Tutti questi passi dell'Eterno pieni di novità, pieni di meraviglie, pieni di misteri, sono presenti alla Sposa, e come fatti per lei con affettuosa gratitudine ella li medita, e gli accenna.
Ma siccome egli prima di andare al cielo promise di essere colla sua Chiesa fino alla consumazione de' secoli, la sua promessa adempiendo con quella sua liberalità, che ogni desiderio sorpassa, non solo si sta con essa colla sua grazia, col suo spirito, colla sua assistenza, ma viene ancora egli stesso in persona a visitarla, a consolarla, a sostentarla nel sacramento del Corpo, e del Sangue suo. La qual venuta piena d'ineffabile degnazione, piena di prodigi di carità, non fu occulta alla Sposa, ed ella vuole annunziarla con quelle parole: Ecco, che egli viene. Egli viene, e la voce, che io ascolto, è voce del mio Diletto. Egli preso il pane dice: Quest'è il mio corpo; e preso il calice: Quest'è il sangue mio del nuovo Testamento, che sarà sparso per voi: Fate questo in memoria di me. Qual voce è mai questa? qual è mai questa venuta? Non sia perciò meraviglia, se dopo che la Sposa ebbe detto: voce del mio Diletto, ella non dice, nè spiega quel che tal voce dicesse: perocchè e l'una, e l'altra venuta sono mistero tale d'amore, che può, e dee credersi, e meditarsi, ma di spiegarlo, e celebrarlo quanto egli merita, non è cosa possibile a noi.
Eccolo che si sta dietro alla nostra parete ec. La nostra parete, dietro a cui si sta il Verbo divino, ella è la nostra carne mortale, sotto la quale stava ascosa la Divinità, onde il Cristo fu detto da Isaia un Dio nascosto, XLV. 15., e tanto più nascosto, perchè la carne, ch'egli assunse, non solo era la carne stessa dell'uomo, ma (ben chè senza peccato) soggetta ancora a tutte le miserie, a cui fu condannato l'uom peccatore, perchè egli volle farsi in tutto simile a' fratelli, come dice l'Apostolo Heb. II. 17. Non è però, che quantunque velata in talguisa la divinità non traspirasse questa, per così dire, al di fuori si mediante le opere miracolose, che egli facea, e sì ancora mediante l'adempimento di tutto quello, che del Messia era stato predetto; onde egli diceva agli Ebrei: Voi andate investigando le scritture, perchè credete di aver in esse la vita eterna, e queste son quelle, che parlano in favor mio, Joan. v. 39. E tutto ciò vuole spiegare la Sposa dicendo, che lo Sposo sta guardando per le finestre, e osservando per le gelosie, dove si allude all'uso Orientale di avere le finestre coperte da gelosie, della qual cosa si sono altrove veduti gli esempi. Ella adunque mirava lo Sposo occultato nella nostra carne, mirava lui, che si lasciava vedere a traverso delle gelosie, che adombravano da finestra, lo che vuoi dire, che non chiaramente si dava egli a conoscere per quello, che era: ed è ciò indicato nell'Ebreo con una similitudine alquanto diversa dicendosi, che lo Sposo mirava spuntando fuori dai cancelli, onde una piccola parte di se solamente mostrava. Ma dopo che egli fu assunto al cielo, e siede alla destra del Padre, ora che il cielo stesso pone fra lui, e la Chiesa militante un'altissima parete, la Chiesa stessa animata dalla sua fede non lascia di dire; ecco, che egli si sta presso a me colla sua grazia per essere mio aiuto, mia consolazione nel tempo opportuno, nella tribolazione. E finalmente volgendosi a considerarlo nel Sacramento del corpo, e del sangue suo, nel quale una nuova parete agli occhi de' fedeli interamente lo toglie, vale a dire le specie del pane, e del vino, esulta, e festeggia dicendo: Ecco, che egli si sta dietro alla parete, ammirando le invenzioni della sua carità verso di lei nel far sì, ch'ella abbia il suo Sposo, e il suo Dio tanto vicino, benchè tanto nascosto.

2,10:Ecco, che il mio Diletto ec. Con piacere misto di ammirazione, e di riconoscenza viene a raccontare la Sposa, che il Diletto suo le parlò: Ecco, che il mio Diletto mi parla. Parlò egli già alla Sposa, e per assai lungo tempo parlò illuminandola intorno a' misteri del regno di Dio, e insegnandole tutto quello, ch'ella dee fare per piacere a lui; e dopo averle parlato egli stesso, mandò a lei il suo Spirito in lingue di fuoco, il quale le diè la piena intelligenza di tutto quello, che il suo Diletto avea a lei inse gnato. E una degnazione, e un benefizio sì grande, e un amore sì nuovo rende quasi estatica la stessa Sposa; onde dice: Ecco, che il mio Diletto mi parla, e tanto più ne ammira la bontà, perchè non le parla egli, come parlò un giorno al popolo Ebreo di mezzo al fuoco ardente, e al turbine, e alla caligine, e alla bufera, e al suon della tromba, e al rimbombo delle parole (Heb. XII. 18. 19.), le parla non come Creatore alla creatura, nè come Signore alla sua serva, ma come Sposo alla Sposa, come Diletto alla Diletta. Queste parole dello Sposo sono parimente indiritte alla Chiesa nascente rivestita già di virtù dall'alto colla venuta dello Spirito santo; ed a lei, cioè a' suoi pastori, gli Apostoli, è detto, che sorgano, e si affrettino, e vadano non tanto per la Giudea, quanto pel mondo tutto ad annunziare a tutti gli uomini il Vangelo, onde per tutta quanta la terra il suono della lor voce diffondasi, e le loro parole sino a'confini della terra, Psal. XVIII. 4. E a questi predicatori Evangelici è dato il titolo di amici dello Sposo, come in s. Giovanni XV. 14. 15., onde non il proprio vantaggio, nè la propria gloria ricerchino, ma la gloria di Cristo, e la salute de' prossimi; e sono rassomigliati alle colombe per la semplicità, e pel candore della fedeltà; e si dimostran forniti di virtù tanto splendida, che trarranno gran copia di anime a Cristo non solo colla efficacia della divina parola, ma ancor coll'esempio della lor vita. Per la qual cosa di essi sta scritto: Quanto belli sono i piedi di coloro, che evangelizzano novella di pace, novella di felicità, Rom. X. 15., Isai. LII. 7.
Ma lo stesso Cristo parla anche adesso ogni giorno, nè mai cesserà di parlare sino alla fine de' secoli, e parla colla unzione interiore del suo spirito, e parla ancora al di fuori coll'esterna predicazione, invitando le anime alla penitenza, al disprezzo del mondo, ed all'amore delle cose eterne, e celesti. Per la qual cosa in qualunque ora la chiamata dello Sposo si senta, dobbiamo pensare, che a noi si dica: oggi se ascolterete la voce di lui, non voglia te indurare i vostri cuori, Psal. XCIV.8.
Sorgi, affrettati, o mia Diletta, ec. Fu già osservato, che queste tre voci, Sorgi, affrettati, vieni, sono relati ve a tre generi di persone, che ascoltano la voce di Cristo: perocchè sorgi si dice per quei, che cominciano a seguire lo Sposo; affrettati, per quelli che nel servizio di lui si avanzano; vieni per li perfetti, che sono degni di entrare nella sala delle nozze. Egli è verissimo però, che questa stessa esortazione a qualunque grado convien si; perocchè gli stessi perfetti hanno sempre onde avanzarsi, e di essi sta scritto: andranno di virtù in virtù, Psal. LXXXIII. 7., e perciò ad essi ancora si dice: Sorgi, affrettati, vieni. Ma egli è da notare il perchè nello stesso tempo, che lo Sposo dice; sorgi, affrettati, e vieni, si aggiungano i dolci titoli di Diletta, di Colomba, di Speciosa; perocchè chiamandola sua Diletta, dimostra ch'ella si è già alzata dalla miseria della colpa, ed è riconciliata con lui, ed è pronta ad obbedirlo; e chiamandola sua Colomba, esprime la innocenza, e purità della vita, e come ella a lui solo è fedele: e chiamandola sua Speciosa viene a significare com'ella non solo è monda, ma abbellita collo splendor della grazia, e delle virtù. Ma, come osservò il Nisseno, vuol qui indicarsi l'efficacia della vocazione, la quale opera immediatamente quello, che vuole. Allorchè il Salvatore disse a quel giovine del vangelo: Sorgi, egli immediatamente in quel punto si alzò; e quando disse al paralitico: prendi il tuo letticciuolo, e cammina, il paralitico preso il letto camminò; e a quella voce: vieni, sieguimi, il pubblicano lo seguitò, e divenne un Apostolo, Matth. IX. 9. E ad una simil chiamata non divenne ella e amica, e colomba, e speciosa la Maddalena, già peccatrice nella città? Ed è ancor da riflettere, che per la debolezza, e mutabilità grande del cuore umano, in qualunque stato si trovi un'anima, ella ha bisogno di udirsi ripetere al cuore questa voce efficace: Sorgi, affrettati, vieni; perocchè il continuo aiuto di Dio è necessario e per non cadere, e per non arrestarsi, e per andare avanti, e correre in guisa da ottenere la palma: sopra di che s. Leone dice: La nostra natura fino che dura ad esser mortale, sendo mutabile, abbenchè siasi avanzata al sommo studio della virtù, siccome può sempre trovar dove cadere, così può sempre avere onde crescere; e la vera giustizia de' perfetti sta in questo, che non presumano giammai di esser tali, affinchè cessando di esser solleciti nella carriera non ancor terminata, non dieno nel pericolo di scapitare ove abbian deposto il desiderio di acquistare, Serm. 2. de Quadrag. Quindi lo stesso Apostolo delle genti diceva: Fratelli io non mi credo di aver toccata la meta; ma questo solo, che, dimentico di quel che ho dietro le spalle, verso le cose stendendomi, che mi stanno davanti, mi avanzo verso il segno, verso il premio della superna vocazione in Cristo Gesù, Philip. III. 13. 14.

2,11:Perocchè già l'inverno passò, ec. Vuol dimostrare lo Sposo, che il tempo opportuno è venuto di sorgere, di affrettarsi, di andare, e d'imitare la carità di lui nel cercare il bene delle anime colla propagazione del Vangelo. Già l'inverno passò. Questo tristo, e freddo, e torbido inverno ottimamente dinota il misero stato del genere umano pertutto il tempo, che precedette la venuta di Cristo, tempo di cecità, e di caligine, nel quale gli uomini per duto il lume della Religione rivelata, in errori intollerabili precipitarono, e in detestabili eccessi. Venne tra tante tenebre una luce divina, qual fu la legge data da Dio per ministero di Mosè; ma oltre all'essere questa luce data ad un solo popolo, questa legge non ebbe per se stessa virtù di togliere il peccato, onde tutto il tempo ancor della legge fa parte di quel lungo inverno, di cui qui si parla. La legge (dice l'Apostolo) fu il nostro pedagogo per condurci a Cristo, affinchè siamo giustificati per la fede, Gal. III. 24. La fede nel Cristo venturo era la sola speranza di salute per gli uomini e prima, e dopo la legge, e perciò fu egli adombrato, e predetto, e annunziato in tutti i precetti legali, e in tutti i sacrifizi ordinati da quella legge. Ma l'Ebreo carnale, superbo pel privilegio concedutogli da Dio, superbo dell'onore di essere depo sitario degli oracoli del Signore si avvezzò a porre tutta pla sua fidanza nelle sue cerimonie, e nel culto esteriore. Orrenda è veramente la pittura, che ci fu fatta dall'Apostolo dello stato di tutte le nazioni idolatre, che vuol dire di tutti gli uomini, eccettuati gli Ebrei, ma tetro ancora e, lrutto oltre modo è il ritratto, che egli ci delineò della nazione eletta, del popolo de' santi patriarchi e de' profeti. vedi Rom. 1. II. Venne finalmente il Cristo, il Riparatore del genere umano, e l'inverno ebbe fine, e cominciò per gli uomini una nuova lieta stagione descritta dallo Spirito santo in questo luogo con bellissimi, e vivissimi colori. passo l'inverno, perchè il Sole di giustizia a noi si acco sto, e a quei, che sedevano nelle tenebre, e nell'ombra di morte portò luce, e vita, e salute, onde diceva l'Apostolo: Sorgi tu, che dormi, e risorgi da morte, perchè Cristo t'illuminerà.

2,12:I fiori apparvero sulla nostra terra, ec. Questi fiori, che sono ancora i primi frutti dell'Evangelio, posson significare i pastori, e i Magi condotti a riconoscere, e adorare il Cristo, i primi (come primizie degli Ebrei) dall'Angelo, i secondi (primizie delle genti) dalla nuovastella, che in cielo rifulse al nascere del Salvatore, e dopoquesti spuntarono i fiori degl'Innocenti Bambini fatti martiri di Cristo da Erode, e poscia gli Apostoli, e i Discepoli, e il gran numero de' Santi, onde quella, che fu detta Madre delle altre chiese, la Chiesa di Gerusalemme, era composta; tra i quali Santi egli è giusto di rammentare quella vergine, la quale con ragione può dirsi Madre di tutta la Chiesa delle nazioni, perchè fu Madre del Cristo, ed ebbe parte sì grande a' misteri della Redenzione. E non senza mistero è detto: I fiori apparvero nella nostra terra, vale a dire: una terra, che non produceva se non triboli, e spine, si è veduta cangiata in un ameno giardino di vaghissimi, e odorosissimi fiori. Il tempo del potare è venuto. Si potano le viti nel tempo di primavera, onde alla descrizione di questa stagione anche questo appartiene. E con ciò viene a significarsi quella, che è chiamata circoncisione del cuore sostituita nel vangelo all'antica circoncisione della carne. Questa circoncisione era insegnata, e prescritta anche nell'antica legge; onde quelle parole di Dio per Geremia: Circoncidete i vostri cuori, Jerem. IV. 9. Ma l'Ebreo carnale, superbo di quel segno sacro esteriore dell'alleanza fatta da Dio con Abramo, e co' suoi discendenti, si avvezzò a far consistere in questo tutta la santità, trascurando il sostanziale, e quello, che era (per così dire) l'anima della legge. Quindi contro di essi disputando l'Apostolo disse: I circoncisi siam noi, che serviamo a Dio in ispirito, e ci gloriamo in Cristo Gesù, Philipp. III. 3. Gesù Cristo stesso fece uso di questa similitudine, allorchè disse: Io sono la vera vite: il Padre mio è il coltivatore. Tutti i tralci, che in me non portano frutto, li toglie via, e tutti quelli, che portan frutto, li rimonderà, perchè fruttifichino di vantaggio, Joan. XV. I. È adunque significato lo spogliarsi, che fa il cristiano dell'uomo vecchio, e di tutte le sue prave opere per rivestirsi di Gesù Cristo, come insegna l'Apostolo, portando l'immagine dell'Adamo nuovo e celeste se prima portò l'immagine del terreno Adamo, da cui nacque peccatore. La voce della tortorella si udi ec. il carattere della tortora, uccello amante della solitudine, e la cui voce è un vero gemito, mi persuade, che per questa tortorella sono intesi i peccatori, i quali alla predicazione di Pietro, de testando i loro peccati, desiderosi di uscire da' gravissimi antichi loro mali, pregavano di essere illuminati, e com punti di cuore dissero a Pietro, e agli altri Apostoli: Fratelli, che dobbiamo fare? È Pietro disse loro: Fate penitenza ec. Act. II. 37. 38. Ed era certamente argomento grande della efficacia del Sangue di Cristo il vedere commozione si grande in un popolo, il quale poche settimane avanti avea chiesta con tanto furore la morte di lui a Pilato. Ma l'inverno della incredulità era passato.

2,13:Il fico ha messo fuora i frutti suoi ec. I fichi primaticci anche tra noi spuntano, e maturano sopra la pianta prima degli altri, ma sono sempre in piccol numero. questa pianta frequentemente nelle Scritture del Vecchio, e del NuovoTestamento fu posta come tipo della Sinagoga, come notò s.Girolamo Cont.Jovin. I. Vedi Luc. XXIII. 6., Oseae IX. 10. ec., ed osservò ancora, che i frutti primaticci di questa pianta, come molto dolci, e soavi ed anche in minor numero, sono posti a significare i Giusti della stessa Sinagoga, gome si vede da Michea: Ha desiderato l'anima mia defichi primaticci; non v'ha più un Santo sopra la terra, e non havvi un Giusto tragli uomini, Mich. VII. I. 2., e da Geremia dove de' due panieri di fichi fatti a lui vedere dal Signore dice: in uno de' panieri erano ottimi fichi, come sogliono essere i primaticci, Jerem. XXIV. 1. 2. Per le quali cose sembrami assai chiaro, che per questi fichi primaticci sono intesi i Giudei imitatori della fede di Abramo, d'Isacco, e di Giacobbe, i gloriosissimi Apostoli, e discepoli di Cristo, gl'illustri Diaconi, e tanti altri santissimi uomini della Chiesa di Gerusalemme, che furono come i frutti primaticci di questa pianta separati, e staccati da essa secondo l'ordinazione di Cristo, e questi in paragone de' molti increduli furono un piccol numero, dopo di che la pianta infelice co' cattivi suoi frutti fu condannata, e recisa. Lo Sposo adunque in vita la Sposa a mirare con allegrezza que' primi frutti, come segno della nuova ridente stagione, come segno del tempo di grazia. Le vigne fiorite han dato ec. Come pel fico, e pe' suoi frutti primaticci s'intese la Chiesa di Gerusalemme adunata delle reliquie della Sinagoga, così per queste vigne s'intendono le Chiese del Gentilesimo fondate, e propagate dai Predicatori Apostolici, le quali vigne state già infruttifere nel lungo verno dell'Idolatria, fecondate dalla grazia del Salvatore sparsero per tutta la terra soavissimo odore di ogni virtù.
Fin qui la descrizione della nuova stagione, che fu effetto della venuta di Cristo sopra la terra, la qual descrizione seguendo i Padri, e gli Interpreti abbiamo applicato a' tempi della nascente Chiesa composta del Giudaismo, e della Gentilità. Ma la parola del Signore per la Chiesa, e pe' fedeli di tutti i tempi fu scritta, e per loro istruzione e salute; e perciò non sarà fuor di proposito l'applicarne ancora a noi questa parte, dopo particolarmente, che già vedemmo, come a noi pure quella chiamata dello Sposo sia indiritta: Sorgi, affrettati, e vieni, vers. 10. L'Apostolo delle Genti sembra aver riunito, benchè con altro ordine, e sotto altra figura, tutto il misterioso sermone dello Sposo in queste parole: Già ell'è ora, che ci svegliamo dal sonno; perocchè più vicina adesso è la nostra salute, che quando credemmo: la notte è avanzata, e il dì s'avvicina: gettiam via adunque le opere delle tenebre, e rivestiamoci dell'armi della luce, Rom. XXIII. II.12. Quello, che lo Sposo chiamò inverno, è significato dall'Apostolo coll'immagine della notte, e dove lo Sposo dice: i fiori apparvero sopra la nostra terra, l'amico dello Sposo dice: il di s'avvicina; e l'uno, e l'altro vogliono insegnarci a riconoscere con umile e sincera gratitudine il benefizio di Dio, il quale ci ha fatti nascere nel tempo della luce dell'Evangelio, nel qual tempo sono state manifestate le vie della giustizia, e la grazia di Cristo Salvatore può renderci idonei a fiorire come viti feconde nelle cristiane virtù, e a spandere il buon odore della edificazione de' prossimi. Ma ciò non può farsi, se non risecando le male opere, rigettando l'opere delle tenebre, rigettando le passioni dell'uomo vecchio; perocchè il tempo di potare le viti è venuto: e in questo tempo richiedesi, che la voce della tortorella risuoni nella nostra terra, vale a dire la voce della penitenza, il gemito del cuore contrito, e umiliato. Questa voce, e questo gemito alla sola nostra terra conviene; perocchè nella terra de' viventi, cioè nel cielo, questo gemito non ha luogo; nella terra poi de' reprobi egli è infruttuoso e inutile, perchè tardo. Non voler adunque, o uomo, esser simile a quel fico dell'Evangelio, contro del quale fu dal Padre di famiglia pronunziata la sentenza del taglio, perchè inutilmente occupava la terra, Luc. XXIII. 8. Sii tu vite fiorita nella mistica vigna; perocchè a questo fine fosti ad essa innestato, perchè colle buone opere tu spandessi a gloria di Cristo, e ad edificazione de' prossimi l'odore d'ogni virtù.

2,14:Colomba mia nelle fessure ec. Nelle ultime parole del versetto precedente lo Sposo invitò, e chiamò nuova mente la Sposa: Sorgi, o mia Diletta... e vieni. Or in primo luogo si può spiegare quell'invito, come se lo Sposo dicesse: Mia colomba, che ascosa ti stai nelle fessure dei massi, e nelle caverne pel timore de' tuoi e miei nemici, che odiano il piccolo mio gregge, vieni coraggiosa mente all'aperto, fa' vedere a me la tua faccia, fammi udire la tua voce; perocchè io non ti feci sì bella, e non ti diedi voce così efficace, e soave, perchè tu ti stessi ascosa, e in silenzio, ma perchè mostrandoti al mondo, e predicando la mia parola, tu a me, e alla mia Fede acquisti gran numero di anime. Secondo questa sposizione verrà a indicarsi il ritiro degli Apostoli, e de' Discepoli del Signore nel luogo dove stettero tutti insieme dall'Ascensione di Cristo fino alla venuta dello Spirito santo. Ricevuto che ebbero questo Spirito, allora lo Sposo con gran sollecitudine dice alla Sposa, che esca fuora, e senza ritardo si faccia vedere qual'ella è ornata d'incomparabil bellezza, e faccia udir quella voce, voce di virtù, che penetrerà ne'cuori degli uomini, e ne vincerà ogni durezza per fargli obbedienti alla Fede.
In secondo luogo la maggior parte de' Padri suppone, che dallo Sposo sia accennato alla Sposa il luogo piuttosto, dove vuole, che ella vada a ricoverarsi, vale a dire nelle fessure della pietra, nell'apertura della macerie. Quella pietra (Exod. XXVII. 6.), da cui per dissetare il popolo nel deserto sgorgarono vive e copiose acque, questa pietra, come insegnò l'Apostolo, era il Cristo, I. Cor. x.14. Imperocchè, come dice s. Agostino, e molti altri Padri con esso, nella stessa maniera da Cristo percosso, e messo in croce scaturirono le sorgenti del Nuovo Testamento,Serm. 9. de Temp. Specialmente poi dall'apertura della macerie, cioè dal ferito costato di Cristo, uscì sangue, ed acqua, simbolo delle fontane di grazia, cioè dei Sacramenti, pe' quali siamo mondati, ristorati, e ricolmi de' doni del cielo. Alludendo adunque alle colombe selvagge, le quali dimorano, e fanno i loro nidi o nelle buche de' masseti, o nelle ruine delle muraglie, invita lo Sposo, ed esorta con grande amore la sua Colomba che vada a posarsi nelle sue piaghe, le quali furono la sorgente di ogni bene per lei; perocchè indi scaturì la costanza de' Mar tiri, la purezza, e innocenza de' Vergini, la virtù di tutti i Santi, e per esse posto fine al lungo e tristo inverno, una nuova stagione di fecondità, e di benedizione ebbe principio sopra la terra.
Questa esortazione, e questa chiamata dello Sposo è di retta ancora ad ogni anima, la quale nelle piaghe del Salvatore troverà a tutti i suoi mali il rimedio, e la protezione, e il rifugio ne'pericoli, la pienezza delle spirituali consolazioni in tutti i suoi bisogni. In queste (dices. Bernardo) la colomba si mette in sicuro, e mira senza timore il falcone, che vola all'intorno. È veramente dove è pe' deboli sicurezza, e riposo, se non nelle piaghe del Salvatore o ivi tanto più io vivo tranquillo, quant'egli è più potente a salvare. Frema il mondo, prema la carne, il diavolo tenda insidie; io non cado; perocchè sto fisso sopra la ferma pietra. Peccai peccato grande, turbasi la coscienza, ma non oltre misura si turberà, perchè io ricorderommi delle piaghe del Salvatore ferito per le nostre iniquità..., E quanta in queste piaghe moltitudine di dolcezza, pienezza di grazia, perfezione di ogni virtù? ec. Vedi Serm. LXI. Quindi soggiunge lo Sposo: Fammi vedere il tuo volto, la tua voce si faccia sentire ec., ed è come se dicesse: Tu venendo, o mia Colomba, a posarti nelle mie piaghe, mi farai conoscere la tua fede, e il tuo amore, ed ivi mi presenterai i tuoi gemiti, i tuoi desiderii, la tua riconoscenza a' miei favori, l'ardente tua carità, ed io mirerò con piacere lo splendore celeste, la tua bellezza, e la dolcezza della tua voce mi porterà ad esaudire tutti i tuoi voti.
Dicesi che l'anima mostra al Signore la sua faccia, quando tutto il suo spirito, e il suo affetto a lui ella rivolge, vale a dire con tutto il cuore lo ama, a lui pensa, a lui in tutte le cose desidera e cerca di piacere. Per lo contrario quando alla propria satisfazione, all'amor delle creature il suo studio rivolga, già l'anima non mostra a Dio la faccia, ma il dorso. Ma non è della Sposa un tal disamore, la quale perchè nel solo Sposo ha fisso lo sguardo, tale e tanta ne riceve luce, e splendore, che non può lo Sposo stesso non ammirare la somma bellezza. La voce poi della Sposa tanto grata alle orecchie del suo Diletto è di molte maniere, come abbiamo accennato. Perocchè con sommo piacere egli l'ascolta, allorchè la misericordia di lui ella implora pe'peccati, e pe' peccatori, e quando confessa la propria infermità, e miseria, e quando nella tribolazione ella lo invoca, e i suoi bisogni gli espone, e finalmente quando pe'ricevuti benefizi gli offerisce sacrifizio di laude, il frutto delle sue labbra, che danno gloria al suo nome.

2,15:Pigliateci le piccole volpi, ec. Dopo aver descritta la felicità della nuova stagione, che spuntò per gli uomini alla venuta del Salvatore, dopo aver chiamata replicatamente la Sposa a spargere per ogni parte la Fede di lui e a far noti i beni, che ella in esso ritrova, sollecito lo Sposo di toglier di mezzo, tutto quello, che può alterare la pace, e la felicità della Sposa medesima, rivolto agli amici gli esorta a far preda delle piccole volpi, le quali guastano, e desolano le vigne, se di buon'ora non sono a prese, quando sono ancora tenere; perocchè antico è il proverbio, che le volpi vecchie non restano al laccio. Questa esortazione adunque è indiritta primieramente agli amici dello Sposo, e della Sposa, vale a dire agli Angeli Santi, a' quali la custodia, e la difesa della Chiesa fu principalmente affidata, e in secondo luogo agli, Apostoli, e ai loro successori nel ministero. A questi è a raccomandato di stare attenti a prendere, e togliere dalla vigna le volpi.
In queste volpi i Padri generalmente ravvisano gli Eretici, e le male arti, e le frodi, colle quali questi maliziosi uomini sotto apparenza di pietà s'introducono acorrompere la purità della Fede. Questi (dice il Grisostomo) son vere volpi, non perchè delle volpi abbiano la natura, ma perchè ne imitano il carattere tristo, e malvagio. Li descrisse con vivissimi colori l'Apostolo, dicendo: questi tali falsi apostoli sono operai finti, che si trasfigurano da Apostoli di Cristo, nè ciò è da ammirarsi, mentre anche Satana si trasforma in Angelo della luce: non è adunque gran cosa, che anche i ministri di lui si trasfigurino in Angeli di giustizia, II. Cor. XI. 13. 14. 15. Di queste volpi ne ebbe l'antica vigna, la Sinagoga, e dovea averne anche la Chiesa di Cristo, e fino da' suoi primi tempi ne ebbe (allora quando nei figli di lei fiori va più bella, e rigogliosa la fede), come veggiamo dalle lettere di Paolo, e degli altri Apostoli, e molto più dalla storia della Chiesa.
E quello che ha di peggiore questa specie di nemici della Chiesa, si è, che queste volpi o non mai, o quasi mai si addomesticano, voglio dire, difficilissima è la conversione dell'uomo eretico; e quindi l'avvertimento di Paolo a Tito: l'uomo eretico dopo la prima, e la secon da correzione sfuggito..., come quello, che pel suo proprio giudizio è condannato. E vuol dire l'Apostolo, che da se stesso si condanna l'eretico, mentre si separa dalla unità, e rompe la pace, preferendo al giudizio della Chiesa la propria opinione, Tit. III. 10.
Un'altra specie di volpi di carattere ancor più malvagio fecero non piccol danno alla vigna di Cristo, e furono i sapienti del secolo, da' quali la sapienza cristiana, le verità del Vangelo furono condannate come stoltezza; perocchè tutto quello, che non quadrava co' principi della loro filosofia, non poteva essere, secondo costoro, se non errore, e menzogna, e contro di essi ragiona Paolo, il quale gli ebbe alle mani e in Atene, e altrove. Vedi I. Cor. I.
Di questa razza di nemici della Chiesa ne ha veduti, e ne vede l'età nostra, e non in piccol numero, e tanto più impudenti, perchè laddove gli Eretici hanno almeno delle massime fisse, rispettano le Scritture, e colla cattolica Chiesa convengono in molte cose, i nuovi filosofi non hanno nulla di stabile, non rispettano autorità, non convengono nè tra di loro, e neppur ciascuno con se medesimo, concordi, e fissi in questo solo di sradicare, se possibil fosse, dal mondo la Fede, e d'introdurre una sfrenata licenza di pensare, di dommatizzare, e di vivere. Ma e riguardo all'eresia, e riguardo a tutto quello, che alla sana dottrina si oppone, ella è di somma importanza l'esortazione, che fa lo Spirito santo a' pastori de' popoli, e a' ministri della Chiesa, di prendere, e di reprimere senza indugio queste fiere quando son piccole, di non lasciare che crescano; perocchè ogni momento,ch'ei perdano, sarà con danno della vigna, con danno particolarmente delle anime semplici, le quali dalle frodi de' nuovi maestri saranno guadagnate, e indotte in errore. E si osservi, come lo Spirito santo con gran senso avvertì di custodire la vigna non contro la forza, e la possanza de' lioni, ovver degli orsi, delle tigri ec., ma si dall'astuzia delle volpi, e delle volpi ancor piccole; imperocchè contro certi nemici manifesti stanno in guardia per lo più le anime giuste; ma non sempre contro le insidie di questi, i quali coll'adulazione, e colla perfidia s'intrudono ad alterare, e corrompere la semplicità della Fede.
Finalmente i Padri della Chiesa hanno osservato darsi qui alle anime giuste un gravissimo avvertimento, che è di combattere con sollecitudine contro i vizi, e peccati minori, di non disprezzarli perchè piccoli sembrino in paragone di quelli, che l'anima uccidono con un sol colpo; perocchè le volpi piccole ancora se prese non sono, e cacciate fuor della vigna, a lungo andare la guastano,e la disertano.

2,16:A me il Diletto mio, ec. Si può sottintendere nella prima parte del versetto il verbo sostantivo in tal guisa: il mio Diletto è a me, vale a dire è mio, ed io sono di lui, come porta una delle greche versioni (Simm.),ma ho voluto lasciar tronco il discorso, come sta nell'originale, e nella Volgata; perocchè questa maniera di parlare sta molto bene in bocca di tale Sposa, ed esprime con grande enfasi l'altissima condizione dello Sposo, il quale è per la Sposa tutto quello, che ella può desiderare, Sposo, Padre, Salvatore, Amico, Maestro, Protettore, e finalmente ogni bene, e per cui la Sposa è l'obbietto del più tenero, ed eccessivo amore, come ben dimostrò in tutto quello, ch'ei fece, e patì per farne acquisto, e in tutto quello, ch'ei fa ogni giorno per conservarla. Principalmente però in queste parole è indicata l'indissolubile unione di Cristo colla Chiesa, unione predetta in tutti i Profeti, annunziata fin dal principio del mondo nella unione de' primi nostri progenitori, come osservò l'Apostolo: l'uomo è capo della donna, come Cristo è capo della Chiesa, ed egli è Salvatore del corpo suo..., uomini amate le vostre mogli, come Cristo amò la Chiesa, e diede per lei se stesso, affin di santificarla, mondandola colla lavanda di acqua mediante la parola di vita, per farsi comparire davanti la Chiesa vestita di gloria senza macchia, e senza grinza, od altra tal cosa, ma che sia santa, ed immacolata.Chi ama la propria moglie, ama se stesso: or nissuno odiò mai la propria carne, ma la riunisce, e ne tien conto, come fa pur Cristo della Chiesa: per questo l'uomo abbandonerà il padre e la madre sua, e starà unito alla sua moglie, e i due saranno una carne. Questo Sacramento è grande: io però parlo riguardo a Cristo, e alla Chiesa, Ephes. v.23.32. Tutto ciò essendo notissimo alla Chiesa con ineffabil consolazione rammenta in questo luogo il suo sposalizio con Cristo; e come egli è tutto per lei, ed ella tutta per lui, e tale, e sì stretta è questa unione, che non può mai essere colla Sposa chi non è collo Sposo, e non può essere collo Sposo chi non è colla Sposa. Le volpi, gli occulti nemici della Chiesa, i nemici ancor manifesti potranno bensì strappare dal seno di lei un numero di anime talora anche grande, ma di separare la Chiesa da Cristo nè alcuna potenza umana, nè le forze stesse dell'inferno nol potranno giammai. Mirabilmente in poche parole un antico Interprete: Cristo ha la Chiesa come suo corpo, la Chiesa ha Cristo come suo capo, la qual congiunzione perchè non può mai disciogliersi, per questo ella dice: a me il mio Diletto, ed io a lui. Ed hanno a, questo passo motivo di confondersi gli Eretici degli ultimi tempi, i quali per colorire in qualche modo la loro separazione dalla Chiesa, non ebbero orrore di pronunziare una scellerata bestemmia con dire, che la Chiesa avea prevaricato, avea apostatato da Cristo. Accordino essi, se possono questa empia voce con quello, che in questo luogo sta scritto, l'accordino collo sposalizio sempiterno descritto in Osea, II. 19. 20., e in altri profeti, l'accordino colle generali nozioni riguardanti il matrimonio de' fedeli, ripetute da Cristo Matth. XIX. 4. ec. e applicate da Paolo come figura all'unione di Cristo, e della sua Chiesa, e finalmente l'accordino colla promessa di Cristo: ecco, che io sono con voi per tutti i giorni fino alla consumazione del secolo, Matth. XXVIII. 20., e con quello ancora, che qui si dice in appresso, come vedremo. Il quale tra' gigli pascola, vale a dire i suoi fedeli, il suo gregge mena ai pascoli più ubertosi, più belli, e più odorosi, e ricolmi di ogni soavità. Per questi pascoli sono intesi i libri delle Scritture sante, i Sacramenti della Chiesa (e tra questi principalmente la divina Eucaristia), i misteri di Cristo, i suoi documenti, ed esempli; nelle quali cose trova la Chiesa e ogni anima fedele un pascolo sempre puro, e sempre salubre.
Un'altra sposizione di queste parole, sposizione frequentemente ripetuta dai Padri (e che può stare assai bene colla nostra Volgata, secondo la versione, che ne abbiam dato), non dee da me tralasciarsi. Viene pertanto a significarsi non solo, che Cristo come buon Pastore con sommo amore provvede di ottimi pascoli le sue pecorelle; ma che egli stesso delle virtù delle buone opere, de' frutti del loro amore si pasce. Pascola adunque tra i gigli lo Sposo, ed è suo cibo (dice s. Bernardo) la umiltà, l'obbedienza, la purità, e le altre virtù, delle quali egli, che di tutte è il principio e il modello, altamente si gode.
Fino a tanto che il giorno ec. Abbiam seguito la interpunzione della Volgata, ed anche dell'antica versione Italica, congiungendo queste parole del versetto 17. colle precedenti. Aggiungo ancora, che dove noi adesso leggiamo inclinentur umbrae, nella stessa antica Italica si legge va amoveantur umbrae, ovvero removeantur umbrae, come in qualche luogo lesse s. Agostino; lo che può stare colla versione de' LXX, e appiana l'intelligenza di questo luogo. La Sposa adunque avendo detto: a me il Diletto mio, ed io a lui, soggiunge, che questa strettissi ma relazione sarà stabile, sarà permanente fino a tanto, che venga a spirar l'aura dolce di quel giorno beato, dopo il quale nè ombra, nè notte più non sarà. Questo giorno egli è il giorno della beata eternità, giorno di sempiterno splendore, giorno, nel quale la spirituale unione della Chiesa col suo Sposo celeste sarà confermata, e perfezionata, giorno, nel quale ella lo vedrà a faccia a faccia, e sarà assorta in un incendio di perfettissima carità. Questo giorno ella aspetta ansiosamente come il termine di tutti i suoi desideri. Ma fino a tanto che venga quel giorno, fin a tanto che dura il tempo oscuro, e tenebroso di questa vita mortale si consola la Sposa colla sicurezza, che ha nell'amor del suo Sposo, della sua fedeltà, con cui egli adempie le sue promesse, si consola co' pascoli purissimi, e saluberrimi, che le ha preparati, ed anche colla cognizione dell'amore, che ella ha per lui, della fede, che a lui serba, e col mudrire la sua carità con tutti i mezzi, e gli aiuti, che dalla bontà di lui le sono somministrati.
Debbo notare, che le parole il quale tra gigli pascola, si possono chiudere in parentesi, contenendo un elogio dello Sposo fatto incidentemente dalla Chiesa, ma che viene molto a proposito in questo luogo, mentre con esso la Sposa rammenta in una parola sola le infinite ragioni, che ha di amare senza misura il suo Sposo per la liberalità inesplicabile usata con lei.

2,17:Ritorna: sii tu simile, ec. I monti di Bether ci sono ignoti, ma non sono essi il solo luogo rammentato nelle Scritture, di cui non sappiasi la posizione. La versione Arabica in vece di Bether ha Bethel, luogo celebre per la visione di Giacobbe, Gen. XXXII., e così pure si legge in qualche manoscritto dell'antica versione italica. Ma Bether ha la nostra Volgata, e Bether l'Ebreo, ed è troppo facile lo sbaglio di un copista per la troppo grande somiglianza di queste due voci, ed è più facile, che di Bether siasi fatto Bethel, che non il contrario, perchè il nome di Bethel è più noto, essendo ripetuto molte volte ne' libri santi.
Abbiam veduto come la Sposa si era promessa una stabilità, e fermezza insuperabile nell'amor del suo Sposo per tutto il tempo della vita presente, e fin a tanto che venga quel giorno, in cui tolte le ombre, sia fatta degna di entrare nel gaudio del suo Sposo e Signore. Or fino a tanto che adempiansi le promesse a lei fatte, ella, che sa quanto la presenza continua del suo Sposo le sia non solamente dolcissima, e soavissima, ma ancora necessaria, sembra, che prevegga di doverne talor soffrire l'assenza, mentre ella dice: ritorna; e non sol chiede, ch'egli ritorni, ma che ritorni con quella celerità, con cui i caprioli, e i cerbiatti saltano da un colle all'altro su' monti di Bether. Per questi tempi di assenza dello Sposo si possono intendere i tempi, ne' quali egli per bene di lei, e per esercitare, e provare la sua fede e il suo amore permette, ch'ella sia vessata, e afflitta oltre modo dai suoi nemici, e che questi tutto possano contro di lei, onde ella sembri almen per un tempo quasi Sposa abbandonata, e negletta. E tali furono i tempi delle persecuzioni mossele contro dagl'Imperatori Romani, e i tempi delle dominanti eresie ec. in questi tempi adunque ella domanda, che il suo Sposo la visiti, e a lei con celerità e sovente ritorni, e delle benedizioni di sua dolcezza le faccia parte, e ne' travagli suoi la consoli, e un segno buono faccia per lei, affinchè color, che l'odiano, veggano per loro vergogna, com' egli è suo aiuto, e suo consolatore, Psal. LXXXV. 16.
In simil senso ancora (come notarono molti Padri) i Giusti nelle tribolazioni, nelle violente tentazioni parendo loro di essere come abbandonati da Dio, ne implorano con lacrime, e con ardenti preghiere il pronto ritorno, e con tutto lo sforzo del cuore, colle voci degli Apostoli pericolanti nel mare gridano a lui: torna, o Signore: noi ci perdiamo.
Ma un altro ritorno dello Sposo secondo i Padri medesimi è indicato in queste parole, ritorno lietissimo per la Sposa promesso in tutte le Scritture, e singolarmente annunziato dagli Angeli nell'atto stesso, che Cristo compiuta l'opera della Redenzione degli uomini saliva al cielo: uomini Galilei, perchè state mirando verso il cielo? Quel Gesù, il quale tolto a voi è assunto al cielo, così verrà come lo avete veduto andare al cielo, Act. I. II. Questo ritorno, e questa seconda venuta di Cristo sopra la terra ella è, come ognun sa, il venir ch'ei farà nella fine dei secoli dal cielo con potestà, e maestà grande a giudicare i vivi, e i morti, quand'ei verrà (dice Paolo) a glorificarsi ne' Santi suoi, e a rendersi mirabile in tutti coloro, che hanno creduto, II. Thessal. 1. 10 Questa seconda venuta è aspettata ed è chiesta ardentemente dalla Chiesa, e da' Santi nell'Apocalisse (VI. 9.), ed è chiesta, affinchè presto abbia fine la iniquità, e sia distrutto il regno del demonio, e sia stabilito in eterno il regno di Cristo, e la Chiesa stessa dalla malizia, e da' travagli del secolo passi alla gloria del suo trionfo, e alla perfetta, ed eterna sua unione con Cristo. Per questo e lo Spirito, e la Sposa dicono: vieni, e chi ascolta dica, vieni. E lo Sposo, che tal sua venuta promise, e fa fede di tali cose, dice: certamente io vengo ben presto. E con tutto l'ardor del suo cuore la Sposa risponde: così sia, vieni, Signor Gesù, Apocal. XXII. 17.20.

Gen Es Lv Nm Dt Gs Gdc Rt 1Sam 2Sam 1Re 2Re 1Cr 2Cr Esd Ne Tb Gdt Est 1Mac 2Mac Gb Sal Pr Qo Ct Sap Sir Is Ger Lam Bar Ez Dn Os Gl Am Abd Gn Mi Na Ab Sof Ag Zc Ml Mt Mc Lc Gv At Rm 1Cor 2Cor Gal Ef Fil Col 1Ts 2Ts 1Tm 2Tm Tt Fm Eb Gc 1Pt 2Pt 1Gv 2Gv 3Gv Gd Ap